Sotto le copertine

E' tutta questione di energia. La vita dell'editore indipendente Roberto Keller

È tutta questione di energia! La vita dell’editore indipendente è spesso un po’ in salita, racconta Roberto Keller, fondatore dell’omonima casa editrice trentina. Ma chi ama la montagna sa quanto può essere gratificante la fatica quando viene premiata.  

Maremosso La casa editrice Keller, di cui lei è il fondatore, è nata nel 2005 “con pochi capitali e pochi mezzi”, come recita la pagina di Wikipedia. Com’è cominciata l’avventura?

Roberto Keller Fondare una casa editrice non era un mio desiderio di sempre o il sogno di una vita. È stata una decisione maturata nel tempo, dopo alcune esperienze sul campo. Dopo la laurea in lettere ho lavorato in ambito editoriale a Milano, ho seguito un corso e ho poi lavorato per diversi anni alla Marcos Y Marcos. A un certo punto però, da buon montanaro, ho iniziato a soffrire un po’ troppo per la lontananza dal verde immediato e dalle montagne, e così mi sono trasferito e ho avviato una sigla editoriale tutta mia. Ho cominciato molto in piccolo, pubblicando due titoli: il primo, a firma di autori italiani, forse l’unico tra l’altro, era Voci di fiume. Il Trentino è tagliato in due dal fiume Adige, eppure l’acqua e il fiume hanno un ruolo secondario nella nostra tradizione letteraria. Ero interessato a capire se esisteva un legame creativo fra il fiume e la scrittura che si poteva esplorare. L’altro libro era di un autore peruviano che viveva già in Spagna da diversi anni, Santiago Roncagliolo. Crescere è mestiere triste racconta le nuove generazioni di peruviani, molto rappresentative del Sudamerica di quegli anni. Roncagliolo ha poi vinto il premio Alfaguara, in seguito è stato pubblicato da Garzanti ma è ancora molto presente anche nel catalogo Keller. Dopo questi primi due titoli abbiamo proseguito con libri in traduzione ispirati al mio gusto personale, che guarda essenzialmente al mondo dell’Europa Centrale e Orientale, senza negare escursioni in altre culture – spagnola, francese, nordamericana; a est ci spingiamo fino alla letteratura russa.

MM Com’era l’assetto della casa editrice in quei primi anni?

Roberto Keller Molto ridotto, ma lo è tutt’ora. Mi piace descrivere la casa editrice come un’azienda artigianale di qualità. Ogni passo viene meditato con cura, e qualche volta si getta il cuore oltre la barricata. La produzione era inizialmente molto limitata, siamo cresciuti partendo dal basso e siamo andati via via conquistando spazio in libreria. Oggi la produzione è aumentata, abbiamo qualche collaboratore in più, abbiamo costruito con il passare del tempo una miriade di relazioni, avviando un dialogo con i nostri lettori: Keller è diventata un punto di riferimento per chi ama le cose che amiamo noi e che proponiamo.

MM Anche se i primi due titoli andavano in una direzione leggermente diversa, l’ambito di interesse della casa editrice era chiaro fin da subito, immagino.

Roberto Keller Quella di Herta Müller, che ci ha regalato una grande notorietà, non è una presenza casuale nel nostro catalogo. L’autrice appartiene all’universo mitteleuropeo che ci interessava, sia dal punto di vista geografico che culturale: un territorio multilinguistico abitato da una minoranza di lingua tedesca in Romania, il Banato. La direzione che avrebbe preso il catalogo era chiara fin da subito. D’altro canto, il mestiere di un editore indipendente è talmente difficile e totalizzante che ritengo sia più saggio seguire i propri gusti. Solo così possiamo mettere in campo la grande quantità di energia necessaria. Questo nostro territorio è intriso di storie di confine ed è anche naturale che sia la nostra area di interesse principale.  

MM Parlavamo di Herta Müller. Nella storia dell’editore esiste un prima e un dopo il Premio Nobel. Ci può raccontare come è andata?

Roberto Keller Per usare una metafora dal sapore estivo, quelle successive all’assegnazione del Nobel sono state settimane da bollino nero. È stato un mix di sensazioni: era incredibile che capitasse proprio a noi, piccolo editore con appena sette o otto titoli all’attivo in quel momento. La notizia era davvero inaspettata. Fu un amico giornalista a darmela, e io inizialmente non gli credetti. Non ce lo saremmo mai sognati. In quel momento stavo preparando la fiera di Pisa e volli andarci, per stare insieme agli altri piccoli editori e condividere quella che fu una gioia per tutta la categoria degli editori indipendenti. Nei giorni seguenti, a Rovereto, fummo travolti dalle richieste, tanto più che per una serie di motivi – la grande attenzione della stampa, ma anche un grande moto d’affetto e simpatia nei nostri confronti – il premio Nobel fu collegato a quel libro in particolare (Il paese delle prugne verdi, NdR) e non ad altri, anche se c’erano altri titoli in circolazione come Bassure, per esempio, che era uscito per gli Editori Riuniti. Inoltre, ai tempi applicavamo a mano una speciale etichetta sui libri, era un procedimento lungo e delicato. Dovendo far fronte a decine di migliaia di richieste fummo letteralmente travolti. E il ricordo più commovente per me è il fatto che decine e decine di persone sconosciute si presentarono da noi per dare una mano; un’azienda locale chiuse le proprie porte e mandò i suoi operai da noi per aiutarci a smaltire le richieste. Una testimonianza d’affetto enorme da parte della nostra comunità.  

Il paese delle prugne verdi
Il paese delle prugne verdi Di Herta Müller;

Nella Romania degli anni Ottanta, quasi sospesa nel tempo, quattro giovani si ritrovano uniti dal suicidio di una ragazza di nome Lola. Da quel dolore e dalla consapevolezza di vivere in un Paese sottomesso alla dittatura, scaturisce un comune anelito di libertà che si nutre di letture e pensieri proibiti.

MM Come sono cambiate le cose per la casa editrice dopo il Nobel?

Roberto Keller Il premio ci diede notorietà e anche risorse, e ci consentì di fare quella che si rivelò a tutti gli effetti come una ripartenza. Sapevamo anche che il riconoscimento poteva dimostrare la nostra bravura ma anche essere un semplice colpo di fortuna, andava capito e interpretato non solo da noi ma anche da lettori e librai: dovevamo dimostrare, insomma, di averlo meritato. E così siamo ripartiti. Una casa editrice, come qualsiasi azienda, si sviluppa sommando fasi di crescita che si susseguono. In editoria non si raggiunge mai un obiettivo definitivo. È un mercato talmente mobile: cambiano i gusti, i codici, i temi; il corso della storia può imprimere svolte improvvise, risvegliare l’interesse per alcuni temi come è accaduto per la guerra o per la pandemia. Qualche volta si accendono interessi che poi si spengono perché si arriva a saturazione. L’editore può progettare, ma deve anche navigare in una realtà molto mutevole, cercando di mantenere sempre la rotta nonostante le correnti. Oggi Keller pubblica una media di due novità al mese, articolate in quattro collane. Due di letteratura – con cui abbiamo iniziato – e due di non-fiction: Razione K è dedicata ai reportage, molto seguita dalle nuove generazioni, e poi una saggistica più specifica che si occupa di storia, antropologia, filosofia. Abbiamo anche altri progetti che annunceremo fra un po’ di tempo. Nel tempo abbiamo quindi aumentato non solo la produzione in assoluto ma anche le collane, per seguire e assecondare le nostre passioni in modo più specifico.   

MM Il catalogo della casa editrice è molto caratterizzato dalla Mitteleuropa, sia come luogo geografico che a livello più concettuale. Come avviene la ricerca dei titoli?

Roberto Keller Il fatto di essere un piccolo editore ci consente di operare in una dimensione umana. Nel tempo si sono creati legami, relazioni, simpatie reciproche con scout, agenti e collaboratori. Ci sono sicuramente editori stranieri che percepiamo come affini, loro osservano quello che pubblichiamo noi e viceversa. Queste interazioni sono anche facilitate dalla rete e dal fatto che con l’inglese come lingua franca è possibile individuare e scremare buona parte delle proposte. Bisogna stare attenti, però: per mantenere la propria originalità e anticipare gli altri l’editore deve sapersi muovere in autonomia, andando a cercare i titoli. Come dico spesso, la vita dell’editore indipendente è un po’ come quella dello studente a vita – talvolta anche con gli stessi soldi. È difficile, ti consente anche di esplorare molto. Ci siamo interessati agli autori ucraini molto prima che gli eventi rendessero quel territorio tragicamente attuale. Mettiamo in campo molta energia – e ne riceviamo moltissima in cambio – per l’esplorazione di temi e culture che ci appassionano, anche se sono ambiti che interessano a una nicchia di lettori. È anche vero che negli ultimi anni le nostre zone di indagine hanno attirato l’interesse di tutti, per via degli eventi drammatici ma non solo. Si è capito che le culture dell’est hanno moltissimo da dire.  

MM Parafrasando una sua dichiarazione, “per un editore l’orizzonte del vissuto coincide con la professione”. Come si svolge la sua giornata lavorativa? Trova ancora il tempo per leggere?

Roberto Keller Questo mio pensiero vale in particolare per il mondo dell’editoria indipendente. In una casa editrice di grandi dimensioni i ruoli sono più definiti, mentre in una struttura come la nostra molte funzioni si sovrappongono. Per ritagliarmi un momento di lettura privata ho anticipato sempre di più la sveglia, oggi suona circa alle cinque. Solo così riesco a preservare il piacere di leggere liberamente, senza l’occhio operativo dell’editor o del revisore. Ma devo stare attento, perché nei periodi molto intensi il lavoro rischia di colonizzare anche quello spazio privilegiato. 

MM Nei giorni scorsi è stato presentato al Festivaletteratura di Mantova lo straordinario Come sfamare un dittatore di Witold Szablowski, già autore di Orsi danzanti che pure aveva riscosso molto successo. Fra i titoli più interessanti di prossima pubblicazione per voi figurano Api grigie del pluripremiato autore ucraino Andrei Kurkov, e Dove si incontrano le acque di Jean-Arnault Dérens e Laurent Geslin. Ce ne vuole parlare?

Roberto Keller Api grigie è probabilmente il romanzo più importante di Kurkov a livello internazionale dopo Picnic sul ghiaccio. Ambientato nella “zona grigia” del Donbass prima dell’invasione del 2022, è un libro pieno di sfaccettature che mette in luce l’assurdità della guerra e la stupidità dei pregiudizi, un romanzo nel solco della grande tradizione dell’est europeo, che ricorda per certi versi Il buon soldato Sc’vèik. Ha ricevuto tantissimi premi e riconoscimenti e spero davvero che arrivi anche ai lettori. Dove si incontrano le acque è un reportage scritto da due viaggiatori esperti ed eruditi che partono in barca a vela dalla Calabria per arrivare al Mar Nero e raccontano la storia di questi territori navigandone le acque. Ci sono altri due titoli in arrivo a cui tengo moltissimo: il primo è Black Box Blues di Ambra Durante, uno straordinario graphic novel sulla depressione giovanile. L’altro è Ai margini della società, saggio lontanissimo dai luoghi comuni, in cui lo storico tedesco Philipp Ther analizza le storie di emigrazione e di fuga nella storia europea, ma con un taglio del tutto inedito. Tutto è visto attraverso il punto di vista di profughi e rifugiati, con una serie di riflessioni innovative sul rapporto fra immigrazione e integrazione. È davvero una rilettura completamente nuova della storia europea. Un libro bellissimo. 

Come sfamare un dittatore
Come sfamare un dittatore Di Witold Szablowski;

Viaggiando attraverso quattro continenti, dalle rovine dell'Iraq alla savana di Kenga e Uganda, dal fascino sbiadito de L'Avana alle strade bombardate di Baghdad... Witold Szablow(ski ha rintracciato i cuochi personali di cinque "dittatori" del XX e XXI secolo: l'iracheno Saddam HuMein, l'ugandese Idi Amin, l'albanese Enver Hoxha, il cubano Fidel Castro e il cambogiano Pol Pot.

Api grigie
Api grigie Di Andrei Kurkov;

Sergej e Paška sono ormai gli unici abitanti di un villaggio, in quella che è definita “zona grigia”, stretto nella morsa della guerra tra soldati ucraini e separatisti filorussi che nel Donbass si sparano contro ogni giorno. Amici-nemici sin dall’infanzia ora sono costretti a collaborare per far fronte agli eventi e alla monotonia degli inverni.

MM Come si legge sul vostro sito, “Anticipare temi e sviluppi, cogliere ciò che di importante accade nei territori, essere attenti alle linee di confine e di sovrapposizione” è la linea editoriale della casa editrice, ma anche l’obiettivo di Geografie sul Pasubio, il progetto di incontri, confronti, dibattiti nato nel 2017. Come dialogano la casa editrice e la manifestazione?

Roberto Keller L’idea di Geografie sul Pasubio, che è un’idea un po’ folle, è la seguente: raggiungere a piedi luoghi di montagna, facendo un bel po’ di fatica, per sentire alcune delle voci più autorevoli che ci raccontano il mondo. Si possono fare gite in giornata ma anche trekking di quattro giorni in cui si condividono le passioni ma anche gli spazi: si dorme tutti insieme al rifugio, ci si adatta alle condizioni che non sono certo quelle di un hotel di lusso. Quest’anno siamo alla sesta edizione. La manifestazione ha continuato a crescere anno dopo anno. Si svolge sul Pasubio, montagna di confine –  anche se la montagna non conosce confini: una mucca non si chiede mai se sta pascolando in Italia o in Austria. È un progetto bellissimo, sia per i temi e i territori che vengono esplorati sia per la grande intensità dell’esperienza. Voglio precisare che Geografie sul Pasubio non è un evento autoreferenziale. Certo, partecipano anche autori del catalogo Keller ma la maggior parte sono pubblicati da altri editori o addirittura non sono ancora pubblicati in Italia. È un progetto di qualità pensato per piccoli numeri. Peccato che i piccoli numeri non vadano molto d’accordo con il pareggio di bilancio… ma sono certo che riusciremo a trovare a breve un punto di equilibrio economico pur mantenendo numeri sostenibili.      

MM Cosa ha letto recentemente o sta leggendo in questo periodo? Vorrebbe consigliare qualche titolo ai lettori di Maremosso?

Roberto Keller Quest’estate ho letto un Corto Maltese di Hugo Pratt, che non avevo mai letto prima. Al momento sto invece leggendo La vita in alto di Erika Fatland, travel writer norvegese che ha scritto diversi libri molto affascinanti sull’Europa dell’Est e l’Asia Centrale, mentre questo suo ultimo titolo racconta il suo viaggio in Himalaya. Sarebbe bellissimo ospitarla a Geografie sul Pasubio, ci abbiamo provato quest’estate ma purtroppo non poteva, speriamo si presenti l’occasione in futuro, ha proprio il profilo ideale!

MM Ci vuole suggerire una colonna sonora per quest’intervista?

Roberto Keller Sì, questi quattro brani: I Love - Leave Me di For those I Love, Woman di Little Simz, Under The Pressure di The War on Drugs e Hold Your Own di Kate Tempest

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