Segnali di fumetto

“L’arte è un virus buono che scuote le coscienze”. Sergio Gerasi intona la sua Aida

Illustrazione di Gabriella Pezzani, 2021 - Disegno a matita su carta, colorato in digitale

Illustrazione di Gabriella Pezzani, 2021 - Disegno a matita su carta, colorato in digitale

Sulla copertina campeggia il monumento L.O.V.E di Maurizio Cattelan, a molti noto come “Il Dito” Un celeberrimo dito medio, rivolto a mo’ di sfida verso tutto e tutti, sullo sfondo della Borsa Valori di Milano. Disuguaglianze? Chi ha parlato di disuguaglianze?

Così si presenta L’Aida, graphic novel scritto e disegnato da Sergio Gerasi e edito da Bao Publishing. Sull’installazione al centro di Piazza Affari, si arrampicano i membri del collettivo artistico militante che si fa chiamare The Virus – ma capiremo presto come quello raccontato da Gerasi sia un virus buono, necessario alla sopravvivenza - e la stessa Aida, adolescente borghese che si misura con il dolore e la solitudine connaturati all’era digitale.

Disegnatore di “Jonathan Steele”, “Nemrod”, “Cornelio”, “John Doe”, “Valter Buio”, “Rourke” (e altre serie pubblicate da Bonelli editore e Star Comics) Sergio Gerasi, artista della china e appassionato musicista, affianca a quella produzione seriale una intensa attività di autore a tutto tondo. È sempre per i tipi di Bao publishing che Gerasi ha pubblicato, prima de L’Aida, due prove che già lasciavano intravedere la maturazione di un artista completo: In Inverno le mie mani sapevano di mandarino (2014) e Un romantico a Milano (2018).

Attraverso un linguaggio diretto e potente capace di muovere “sia in un’autentica e critica direzione di rottura, sia in una direzione più puramente pop” e una personale, efficacissima via al colore, Sergio Gerasi racconta con attenzione l’attualità sociale e metropolitana di una Milano vera, sfaccettata ma a volte fin troppo proiettata verso un futuro dimentico delle proprie radici.

L' Aida
L' Aida Di Sergio Gerasi;

Aida è una ragazza alto borghese il cui mal di vivere non riesce a prendere una forma precisa. Ma il giorno in cui si imbatte in un collettivo di artisti emarginati e davvero fuori dagli schemi, la sua vita comincia a cambiare.

Ciao, Sergio! Cominciamo a raccontare la protagonista del tuo graphic novel: che tipo è Aida?

Aida è una ragazza benestante e all’apparenza annoiata: è frutto di fantasia e figlia dell'osservazione del mondo che mi circonda. Ma è anche una ragazza curiosa che, nonostante viva una crisi tipica dell'età adolescenziale - un’adolescenza lunghissima, ormai, come quella di tutti - arriverà a scavare dentro sé stessa e a conoscere nuovi territori inesplorati. Quelli della periferia.

L'elemento che scatena la rottura è l'incontro con un gruppo di artisti, The Virus: da dove nasce l’idea di questo collettivo decisamente politico nel proprio approccio con l’arte?

Ho iniziato a pensare e scrivere a questo libro e questo gruppo di artisti di strada diversi anni fa, molto prima di tutto il periodo che abbiamo vissuto. Quindi, a marzo del 2020, mi sono ritrovato a finire un libro che parlava di alcuni ragazzi che si volevano far chiamare The Virus: è stato abbastanza destabilizzante! Il gruppo, in realtà, rappresenta una sorta di virus intellettuale positivo che, tramite l’arte, deve cercare di scuotere le coscienze e di rendere la gente un po’ più critica rispetto al mondo contemporaneo. Il mio non era un intento passatista, ma semplicemente un’invocazione di criticità.

Già: quella stessa critica che metti su carta anche attraverso una rappresentazione tutt’altro che tenera della lingua parlata sui social network…

Sicuramente, il periodo che abbiamo vissuto ci ha fatto capire come il mondo reale sia indispensabile ma sia anche sempre più importante il mondo virtuale: penso che si andrà sempre più incontro a una realtà binaria. Dovremmo saper vivere in entrambe le dimensioni. Per cui, come cerchiamo di tenere pulita una piazza reale, dovremo imparare a tenere pulita anche la piazza virtuale.

Nei tuoi graphic novel hai composto un tuo ritratto della città in cui vivi, Milano, cogliendone anche gli aspetti meno edificanti. Cosa ti affascina e cosa trovi sia migliorabile, di questa città?

Vivo questa città con amore e odio, come tutti quei posti che chiami “casa”, in cui nasci, cresci e ti ritrovi a stare fino ai 40 anni. Milano è un posto che offre tanto ed è proiettato anche al futuro. Gli rimprovero forse poca memoria: è bello essere al passo con i tempi ma, in qualche modo, bisognerebbe sempre cercare di restare aggrappati alle proprie radici, altrimenti il futuro ha poche basi e poco solide.

Fra le tue tavole fa spesso capolino la musica. Sappiamo che hai dei trascorsi da musicista: racconta come si danno la mano, nella tua arte, la musica e l'illustrazione.

È una domanda a cui ho cercato di rispondere tante volte nel corso degli anni, ma una vera risposta non ce l'ho. Credo siano due mondi così vicini per la loro immediatezza, forse perché li scopri entrambi quando sei piccolo, perché hanno un linguaggio esplosivo. Per quanto mi riguarda, sono presenti entrambi giornalmente e praticamente: quando disegno, infatti, mi concentro molto di più ascoltando della musica…ma solo in determinate fasi del disegno. È fondamentale, per me.

Molti guardano al mestiere del fumettista con curiosità e interesse. Descrivici la tua giornata tipo, please!

In generale, la giornata di un fumettista non è molto movimentata ed è anche abbastanza noiosa. La mia parte presto, quando accompagno mia figlia a scuola. Già dalle otto e mezza mi siedo al tavolo da disegno e cerco di realizzare una pagina di fumetto al giorno: leggo la sceneggiatura - o la scrivo nel caso si tratti un libro totalmente mio - bozza, matita, china, e nel mezzo ci sono un pranzo o una passeggiata al parco. Si disegna. Si disegna in continuazione. E così si fa sera.

“Sgrunt”, “bang!” “kaboom” … fra le tante che affollano le tavole che disegni, qual è la tua onomatopea preferita?

Questa è carina! La mia preferita è “Infilzo”: è una citazione di Benito Jacovitti, che aveva provato a riprodurre in italiano l’effetto delle onomatopee in inglese che, di fatto, sono delle parole (per esempio “Slam”, “sbattere la porta”). Così ha inventato questo “Infilzo” che, devo dire, mi fa sempre molto ridere.

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Gli altri libri di Sergio Gerasi

In inverno le mie mani sapevano di mandarino

Di Sergio Gerasi | Bao Publishing, 2014

Un romantico a Milano

Di Sergio Gerasi | Bao Publishing, 2018

Milano spara. Cani sciolti

Di Gianfranco ManfrediSergio Gerasi | Sergio Bonelli Editore, 2020

G & G. Giorgio Gaber a fumetti

Di Davide BarziSergio Gerasi | Becco Giallo, 2016

Unico indizio le scarpe da tennis

Di Davide BarziMarco VillaSergio Gerasi | Renoir Comics, 2015

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