Potremmo suddividere il mondo in due insiemi: quello delle cose di cui non ci accorgiamo, e quello delle cose di cui ci accorgiamo. Appartengono alla categoria delle cose di cui non ci accorgiamo tutte quelle troppo distanti, troppo veloci oppure troppo lente. Tra le cose troppo distanti, ad esempio, ci sono i nuclei atomici che decadono all’interno di una supernova che esplode in una galassia lontana, il suono delle onde che si infrangono sulle rive dell’isola disabitata di Hashima, una mosca che si posa su una lampada spenta, nell’altra stanza. Tra le cose troppo lente ci sono, per esempio, le pagine del libro preferito che progressivamente ingialliscono; una di quelle troppo veloci, invece, è il batter di ciglia (tra le 20 e le 30 volte al minuto, ciascuno per circa 350 millisecondi), che insieme ai movimenti saccadici dell’occhio fanno sì che per ogni minuto che siamo convinti di vedere, ci sono circa 6 secondi in cui, invece, siamo effettivamente ciechi.
L’insieme delle cose di cui ci accorgiamo, invece, è più subdolo. È formato da due sottoinsiemi: quello delle cose di cui ci accorgiamo ed effettivamente accadono, e quello delle cose di cui ci accorgiamo che però non sono veramente: i bias di conferma e cognitivi ci portano a credere che esistano. Sono portato a credere che quel lettore, appena entrato in libreria, sia uno studente, ma invece chi lo sa; che quella lettrice ami la filosofia e invece no; e così via.
Ho iniziato a lavorare in libreria vent’anni fa, nel settore saggistica. Un giorno – era un lunedì – squilla il telefono, rispondo, e la voce di una signora anziana mi chiede se abbiamo disponibile, in casa, Le lettere di John Lennon. Controllo, confermo, le chiedo se vuole che glielo mettiamo da parte. La signora ringrazia, e mette giù senza dire altro. Per precauzione tengo il libro al punto informazioni. Il lunedì successivo la signora richiama. Chiede se abbiamo in casa Le lettere di John Lennon. “Sì, mi ricordo”, le dico: “è ancora qui da parte per lei, quando vuole passare?” Senza aggiungere nulla l’anziana ringrazia, e riattacca. E così il lunedì successivo. E quello dopo ancora.
Alle volte la chiamata la prendo io, alle volte il mio collega: tutti i lunedì mattina la signora chiama, chiede se abbiamo Le lettere di John Lennon, e, dopo essersi sincerata che il libro ci sia, riattacca ringraziando. Dopo due mesi, il mio collega ed io ci siamo convinti – un po’ per il tono della voce strascicato, un po’ per quella richiesta reiterata – che la signora, forse, soffre di una qualche forma di disabilità mentale. Lei continua a chiamare, noi continuiamo a rispondere, il libro resta fermo lì, da parte, al punto informazioni.
Parecchi mesi dopo, a una delle ormai consuete telefonate della “signora del lunedì mattina”, sento che il mio collega cambia risposta. “Sa, signora, quel temporale che c’è stato l’altro giorno... purtroppo il libro si è bagnato. Ma lo riordiniamo”. Quando mette giù, prima che gli possa chiedere, mi spiega: secondo lui è una signora molto anziana e sola... “rendiamole questa abitudine della telefonata del lunedì più interessante”. E così, da quel lunedì, una volta il libro ci è stato rubato, una volta perso, un’altra in mano a un cliente che lo sta sfogliando, e così via. Le telefonate sono proseguite per anni.
Poi, un lunedì come qualunque altro, la signora anziana smette di chiamare, e da quel momento non ci telefonò mai più. Il libro che cercava non erano Le lettere di John Lennon – ho cambiato titolo, per salvaguardare la sua privacy. Ma John Lennon scrisse: “La vita è quella cosa che ci accade mentre siamo occupati a fare progetti.” A modo suo, quell’anziana, dall’insieme delle cose di cui non ci accorgiamo, si era affacciata nell’insieme sfumato delle cose di cui ci accorgiamo e che sono vere, e di quelle di cui ci accorgiamo ma che vere non sono: è lì che iniziano le storie.
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