10 libri sul comò

La Giornata mondiale dell’Africa: i libri per scoprirla e innamorarsene

Illustrazione digitale di Alessia Erica Vergani, 2023, studentessa in Illustrazione e Animazione allo IED, Istituto Europeo di Design

Illustrazione digitale di Alessia Erica Vergani, 2023, studentessa in Illustrazione e Animazione allo IED, Istituto Europeo di Design

L’Africa non esiste

Ryszard Kapuściński, Ebano

È una delle prime – talvolta, l’unica – espressioni in latino che si imparano a scuola: si guarda una cartina dell’Impero romano e si legge «hic sunt leones». Si vede un confine, il deserto, e poi una mappa sfumata, confusa, dove si promettono meraviglie e pericoli, un mondo selvaggio e misterioso. E chissà che non fosse meglio così, quando l’Africa era solo una sconfinata distesa incerta in cui era difficile avventurarsi, in cui resistevano zone inesplorate, foreste, savane, deserti, altipiani. La storia recente la conosciamo tutti, tra colonizzazione, tratta degli schiavi, guerre civili, e conosciamo (preferiremmo di no) anche le nostre responsabilità, tra la cattiva distribuzione delle risorse e l’ancor più nefasta ingerenza negli affari locali.

Ma nella Giornata mondiale dell’Africa, per quanto necessario sia pensare a come l’Occidente – civilizzato, per carità – abbia flagellato il continente, cerchiamo di raccogliere una delle meraviglie di cui più di sovente ci si dimentica. Non la Storia quindi, ma le storie, l’enorme ricchezza di popoli, tradizioni, persone che l’Africa abitano, vivono e raccontano, pur nelle contraddizioni di un continente tanto vasto e complesso. È per questo che si è scelto quest’esergo: perché ci si renda conto che l’Africa non esiste. Dall’«hic sunt leones» a oggi, l’Africa, con presunzione e freddezza, l’abbiamo creata noi.

La cosa più vicina al sogno, nel mondo della veglia, è la notte in una grande città, dove tutti sono sconosciuti per tutti, o la notte in Africa

Karen Blixen, La mia Africa

C’è sempre un misto di fascino e rispetto quando si parla di Africa. Fascino perché ci piace pensare al mal d’Africa, ad animali esotici da fotografare in un safari, agli altipiani innevati del Kenya. Ci piace dirci che le persone, lì, hanno un contatto diverso con il mondo, più vero, genuino, e amiamo far loro visita e tornare per dire che i bambini lottano per andare a scuola mentre qui fanno il contrario. Fascino proprio perché c’è un lì e un qui. E rispetto perché anche a qualcosa che, di fatto, non esiste – ci permettiamo questo gioco – siamo riusciti a far del male. L’Africa ci interroga sempre, ma ancora oggi, nonostante le informazioni martellanti e le pubblicità sociali in tivù, resta un concetto troppo vago perché ce ne responsabilizziamo davvero.

Eppure, se qualcuno, come noi, ha voglia di entrare un po’ più addentro a una terra enorme che va oltre le nostre capacità, per farla esistere non come vogliamo noi, ma per com’è, nella nostra breve – drammaticamente breve – bibliografia c’è un punto d’inizio. Perché qui sono raccontate storie, di popoli, terre, individui, storie di persone che sono un puntino microscopico che sta sotto il grande nome «Africa». Puntini che, come un big bang, esplodono e prendono corpo perché l’Africa cominci a esistere come ogni luogo di questo mondo, come tanti tasselli diversi, autonomi, indipendenti, liberi – di sbagliare, di seguire vicoli ciechi, di tornare indietro, di andare avanti, di scegliere.

Le storie che si raccolgono arrivano dalle voci di chi ha vissuto, in un modo o nell’altro, l’Africa senza idealizzarla. Di chi l’ha abitata o di chi ne è stato soverchiato, non importa: ciò che è importante è che raccontino di un nuovo modo di prendersi cura, o di sentirsi responsabili. Un modo che ha a che fare con la comprensione, con l’ammissione dei propri sbagli, con il lasciare spazio a una libertà diversa da quella che conosciamo. Un modo per niente facile, a ben guardare.

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