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Devo scegliere cinque libri per raccontare la paura. Come faccio?
Semplice: vado nel settore horror, scorro i titoli a scaffale e prendo i cinque che mi hanno terrorizzato di più. Fatto. Semplice, come bere un bicchier d'acqua.
Poi penso che parlare della paura attraverso una selezioni di titoli horror è la soluzione più semplice, ma anche la più scontata.
Va bene, niente horror. Vado in saggistica, filosofia: scelgo cinque saggi. Buona idea: così mi do anche un tono!
Vero, ma sarei disonesto, e anche un po' affettato, se trattassi questo argomento senza citare almeno uno dei libri di Stephen King, il re. L'autore che ha segnato la mia adolescenza, grazie al quale ho scoperto la possibilità di provare paura, leggendo.
Eppure i libri in cui ho trovato le definizioni più illuminanti, che mi hanno regalato le suggestioni più sorprendenti sulla paura, con la paura, almeno in apparenza, non avevano nulla a che fare. E allora ripeto la domanda: come faccio a scegliere? Ho deciso: parto dall'inizio.
"Nessuno mi aveva detto che il dolore assomiglia tanto alla paura. Non che io abbia paura: la somiglianza è fisica. Gli stessi sobbalzi dello stomaco, la stessa irrequietezza, gli sbadigli. Inghiotto in continuazione"
Inizia così Diario di un dolore di C.S. Lewis: è il primo di una serie di frammenti, suddivisi in quattro capitoli, in cui l'autore delle Cronache di Narnia raccoglie riflessioni, emozioni, immagini subito dopo la scomparsa prematura della moglie amatissima. I quattro capitoli, che corrispondono ai quattro quaderni che lo scrittore trova in casa in quei terribili momenti, sono lo spazio finito in cui si impone di circoscrivere l'infinito tormento che lo assale e che lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni, sopraggiunta due anni dopo.
A grief observed, un dolore osservato, titolo originale dell'opera, forse descrive meglio della traduzione italiana il tono del racconto: Lewis non si abbandona alla disperazione, ma scandaglia con sorprendente lucidità le pieghe più oscure della sua coscienza. Il risultato è un prezioso, sottile capolavoro.
Meno sottile, ma altrettanto prezioso è il saggio di Jean Delumeau, La paura in Occidente. Un libro di storia moderna che prova a raccontare il nostro passato preindustriale seguendo il filo rosso della paura. O meglio: delle paure. Il plurale in questo caso è d'obbligo sia perché l'elenco raccolto è lunghissimo, sia perchè le paure descritte sono collettive.
Frutto di una ricchissima ricerca storico-etnografica il libro dimostra che gli usi, i costumi, le credenze, i riti e addirittura le leggi e le istituzioni europee sono anche il risultato di un lungo periodo flagellato da guerre, epidemie e catastrofi naturali che generò enormi paure nei nostri antenati.
L'aspetto più inquietante del racconto è che la reazione più comune e brutale a questi fenomeni fu quella di indicare dei capri espiatori per esorcizzare il terrore. In particolare alcuni gruppi sociali furono perseguitati ingiustamnete, tra questi gli idolatri e i musulmani, gli ebrei e le donne, per secoli, vennero considerati inviati di Satana!
Un saggio che dimostra che anche il passato può, e deve, farci paura.
Nonostante i progressi fatti da quell'epoca, bisogna constatatre che alcune delle sciagure enumerate sono tristemenete attuali. La peggiore tra queste è la guerra!
Molti libri hanno provato a raccontare questo orrore, tra questi uno dei più originali, da poco ritradotto, è senza dubbio Il segno rosso del coraggio di Stephen Crane.
Da lui stesso definito "Un quadro psicologico della paura", il romanzo è ancora oggi considerato uno dei libri più belli sulla guerra di secessione americana. Quando lo scrisse, l'autore era giovanissimo e riuscì a pubblicarlo nel 1895, pochi anni prima di morire a soli 28 anni. Era nato alcuni anni dopo la fine di quel conflitto, eppure riuscì a raccontarlo come nessun'altro. Sorprende inoltre che il testo manchi di riferimenti storici, date, circostanze, nomi, quadri politici direttamente riconducibili a quel periodo. Lo scontro è visto attraverso le gli occhi di un giovanissimo soldato alla sua prima esperienza sul campo. I giorni della campagna, attraverso i filtri delle sue emozioni e dei suoi pensieri, diventano una lunga allucinazione. Il risultato letterario è sorprendente: il resoconto di una battaglia si traduce nel racconto universale della guerra.
Una curiosità: nella recente, e bellissima, biografia che Paul Auster ha dedicato all'autore il paragrafo dedicato a quest'opera si intitola La metafisica della paura. Ancora Lei. Titolo del libro: Il ragazzo in fiamme.
Un ragazzo è anche il protagonista della Lingua salvata, il primo dei tre libri che compongono la biografia di Elias Canetti. Questa parte si concentra sull'infanzia e sulla prima giovinezza dell'autore che, nato a Rustschuk, un piccolo paese sulle sponde del Danubio al confine tra la Bulgaria e la Romania. segue la sua famiglia in una lunga serie di trasferimenti che lo portano a viaggiare per mezza Europa. Il motivo per cui ho deciso di inserirlo in questa selezione è racchiuso in questa frase:
"Forse, di tutte lecose del mondo, nulla si evolve e si trasforma meno della paura. Quando penso ai miei primi anni, per prima cosa ritrovo le paure di cui essi abbondarono in maniera inesauribile. Molte le ritrovo soltanto ora, mentre in altre che non troverò mai, risiede presumibilmente il segreto che mi fa desiderare una vita interminabile."
É la frase che meglio rappresenta la paura per me, anche se, a distanza di anni, non sono sicuro di averne colto il senso, almeno non fino in fondo. Resta il fatto che quando penso alla paura, mi torna in mente con tutto il suo mistero. .
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