Il cinema è al verde.
Intendiamoci: non è che siano finiti i soldi con cui realizzare megaproduzioni che sbancheranno ai botteghini di tutto il mondo.
Il fatto è che un panno color verde chiaro è il grande protagonista del cinema contemporaneo.
Riflettiamo: che effetto ci fa sapere che la maggior parte delle scene di cui ci nutriamo avidamente nelle nostre serate da binge watchers sono state girate con attori messi davanti a un green screen? Una soluzione tecnica vecchia di decenni, che nell'era dell'informazione in cui viviamo ha conosciuto un'inarrestabile diffusione: gli attori che interpretano una scena si vestono di qualsiasi colore eccetto il verde, il quale viene poi rimosso in postproduzione in modo da poter rivestire quello spazio vuoto digitalmente, con scenografie "dipinte" al computer. Così, impariamo che non c'era nessun Fosso di Helm, nel "Signore degli anelli" di Peter Jackson: Gandalf e i suoi si sono lanciati all'attacco di un lenzuolo che sembrava uscito da un ciclo di lavaggio sbagliato. Non parliamo neppure degli "Avengers": è troppo triste pensare a Tony Stark che esala il suo ultimo respiro, dopo aver salvato il mondo, appoggiato a un panno da biliardo slavato.
Così, scoprire che una troupe russa si è data la pena di andare a girare un film ambientato nello spazio proprio nel posto in cui si presume dovrebbe essere girato - nella stazione orbitante ISS - più che farci spalancare la bocca per la sorpresa ci porta ad alzare, perplessi, un sopracciglio: se questa è la pubblicità di cui il cinema ha bisogno per far parlare di sé all'epoca di Netflix, la situazione è di una certa gravità.
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