I volti e la musica dei bistrot, raccontati da Malika 

Il mio francese fa schifo. Non è scolastico, fa proprio schifo.

Però ho un buon orecchio, un sorriso strepitoso e soprattutto non l’ho mai studiato quindi, finché la mia vita in Francia resta nei pressi dell’unità 3 di qualsiasi libro delle medie, basta che ogni tanto risponda “ah, bah… d’accord” e tutto sarà in discesa.

Eccomi infatti al tavolo di una brasserie di provincia, caldo devastante.
Ostento sicurezza in camicia di seta nera e jeans rossi cerati.

Tutti gli altri presenti, veramente tanti, sono una fotografia del mese di luglio.

Vous n’êtes pas a Berlin, chèvre mi bisbiglia sarcastico Insi(curezza).

Oggi però non lo ascolto, non lo sento neanche, ordino un’altra coppa di champagne e mi guardo famelicamente intorno perché è quella vita ad essere irresistibile e io, mi sento come il mio rossetto Rouge Allure numero 73, invincible.

Eppure, non trovo il gancio, la scintilla per poter raccontare quello che voglio raccontare ovvero l’importanza dei bar nelle nostre vite e delle nostre vite nei bar, delle numerose versioni di noi nello stesso luogo, con consumazioni diverse, atteggiamenti diversi, abiti diversi, sguardi diversi, ruoli diversi.

Ci credo, genio, prima di te l’hanno fatto da Bukowski a Fitzgerald, da Joyce a Hemingway e tu, proprio tu, pensi di poter aggiungere qualcosa?

Insi, mollami!

Sono stata a Trieste in cerca del bar ‘di Joyce’ e oggi che provo a ricordarmi come si chiamasse, ho scoperto che di bar ne frequentava decisamente più di uno e Hemingway l’ho incontrato casualmente in un locale. Non a la Floridita, cioè non solo. C’è una sua statua anche al cafe Iruña, a Pamplona. Chissà, quanti suoi personaggi sono in realtà persone che ha spiato dal buio del bancone bancone mentre fuori un sole quasi stroboscopico illuminava la bella Plaza Castillo. Chissà che personaggio era lui ai loro occhi.

Chissà che personaggio sono io questa sera.

Di fronte a me c’é il tavolo degli innamorati, due signori di mezza età con un volpino. Placidi, sorridenti anche se un passante ha rovesciato tutta la loro cena per terra rompendo piatti e bicchieri. Alla mia sinistra gli amici che non si frequentano quanto vorrebbero e parlano tutti con entusiasmo e tutti contemporaneamente, a destra l’aperitivo di lavoro. La bella donna misteriosa ha un vestito a fiori e guarda assorta la piazza da uno sgabello tra i tavoli alti mentre la coppia navigata che non ha bisogno di scambiare troppe parole è giovanissima e giusto dietro di me.

Ne deduco che il mio ruolo di stasera è quello della straniera che scruta la gente, quella fuori contesto, con un vistoso rossetto e vestita in modo inadeguato. A guardarmi da fuori direi un incrocio tra la pazza del paese e la signora sfatta del quadro di Degas.

Da leggere: 

Umiliati e offesi di Fedor Dostojevskij 

Nel bar di Muñoz e Sampayo 

Da ascoltare:

B-Sides and rarities di Beach House (perché quando in un bar sento un loro brano mi fa sempre piacere)

Time’s All Gone di Nick Waterhouse (perché scalda e motiva senza essere invadente e mette di buonumore)

Verve Remixed di A.A.V.V. (per difenderci dalla bruttezza delle brutte cover in bossanova)

Da vedere (o rivedere): 

Vivre sa vie di Jean Luc Godard 

Coffee and cigarettes di Jim Jarmush

Casablanca di Michael Curtiz (Il più bello di tutti)