Sapore di sala

Il musical, che passione - parte 1

Il genere musical presenta una storia magnifica e importante. Nelle epoche è andato sbiadendo. Nel numero dei film, non nella qualità. I titoli sono… rari ma buoni. Com’è il caso di Annette, del 2021, firmato da Leos Carax, premiato a Cannes: è la storia di Henry, comico, e Ann, cantante lirica, e della loro bambina Annette, fenomeno di talento, che rimette in gioco tutto, vita privata e artistica.

Annette - al cinema dal 18 novembre - può essere un’occasione per una retrospettiva sul genere. Ne vale la pena. 

Se la prima opzione del cinema è l’evasione, il genere perfetto è il musical. Sinatra diceva: "la trama di quei film è sempre la stessa - lui e lei si innamorano, litigano, poi fanno pace cantando e ballando”. I musical hanno trasmesso la gioia di vivere in epoche in cui, nella vita reale, ce n’era poca. Gli anni Trenta per esempio, che sono dominati da una coppia travolgente della RKO, Fred Astaire e Ginger Rogers che rimangono una grafica imprescindibile dello spettacolo del'900.

“Gioia di vivere”. Fu proprio l’amministrazione Roosevelt a dare a Hollywood un preciso input, nell’epoca della grande depressione: “fate film che tengano alto il morale degli americani”. Alla classe irraggiungibile dei due ballerini, si accompagnavano le musiche e le canzoni di due giganti, George Gershwin e Cole Porter. Astaire e Rogers incantarono il pubblico di tutto il mondo in nove film. Fred e Ginger meritano la prima esclusiva citazione.

Dalla RKO alla Metro, che produsse una serie di musical che non erano solo canzoni con contorno, ma commedie di qualità con musica di qualità. Magnifica evoluzione. L'eroe era Gene Kelly. Un Americano a Parigi e Cantando sotto la pioggia sono opere d'arte generale. Fecero scuola, che non sarebbe tanto importante, ma dispensarono gioia, che è più importante. E continuano. Gli autori si accorsero che alle storie si potevano applicare contenuti importanti, "seri", anche a un film musicale.

È sempre bel tempo racconta di tre reduci che si separano nel '45 e decidono di ritrovarsi dieci anni dopo. Chissà se si saranno integrati? Gli eroi di quel cinema dietro la macchina furono Minnelli e Donen. Quest'ultimo (Cantando sotto la pioggia, Sette spose per sette fratelli, lo stesso È sempre bel tempo) era un inventore. A 25 anni teneva a bada caratteri come Kelly, Astaire e Charisse - gente abituata ad aver ragione, a fare di testa propria. Il musical di quella stagione è di livello artistico altissimo, direi insuperato. Cantando non è solo un'opera leggera, ma un titolo che ha contribuito al salto di qualità e di definizione del cinema, da evasione ad arte: Donen&Kelly, non solo Renoir&Gabin, Bergman&VonSydow,  Fellini&Mastroianni, e pochi altri. Del resto a dire che il talento di Gene Kelly equivale a quello di Nureyev è stato Bejart, uno che se ne intendeva.

Un segnale interessante arriva nel 1965 quando un musical compie un'impresa che sembrava impossibile, batte il record di incassi di Via col vento: si tratta di Tutti insieme appassionatamente, di Robert Wise. Il musical scritto da Rogers & Hammerstein vinse l'Oscar e divenne un fenomeno in quasi tutto il mondo, il "quasi" si riferisce all'Italia che ancora una volta diffidò delle canzoni nei film. Il titolo ebbe da noi solo un buon successo.

L'Oscar richiama qualcosa di significativo. Il massimo riconoscimento di tutto il cinema toccò il musical molte volte. Quel premio dovrebbe conciliare qualità e spettacolo. In nome della paternità dell'unica forma artistica tutta-e-solo-americana (il musical, appunto), Hollywood diede il premio assoluto a Un americano a Parigi ('51), Gigi ('58), West Side Story ('61), My Fair Lady ('64), Tutti insieme appassionatamente ('65), Oliver ('68). Ed è legittimo che dal 1968, anno della svolta sociale, il musical fosse ritenuto un genere "frivolo", fuori dal contesto impegnato della cultura dominante.
Così bisogna arrivare al 2002 per rivedere un musical insignito dell'Oscar, Chicago, di Rob Marshall.

Ma in quel lungo interregno i film musicali assunsero un ruolo comunque importante. Se li presenti con una canzone puoi permetterti argomenti importanti, diventi credibile proprio perché non ti prendi troppo sul serio. La musica ti offre dunque un alibi leggero, oltre a un impatto sentimentale quasi irresistibile. Un po' come il dialetto, prendiamo il napoletano, che ti fa passare argomenti che in italiano apparirebbero scontati o demagogici.

Riprendendo, da lontano, il tema di "Romeo e Giulietta", West Side Story poneva il problema dell'integrazione dell'America del 1961, la stagione di Luther King. Musical seri e rivoluzionari si susseguirono in quegli anni, e ciascuno portava la sua indicazione. Nel '73 Jesus Christ Superstar, diretto da Norman Jewison, rivede certi rapporti fra l'umano e il divino davvero fondamentali. L'autore dei testi Tom Rice contesta la figura di Gesù, reso ambizioso e quasi isterico e reinterpretando certi atti si allontana poeticamente e coraggiosamente dal dogma. Esemplare è la vicenda di Giuda, un attore nero, che si ribella a Gesù che ha segnato il suo destino unilateralmente, senza dargli la possibilità di scelta. Il tema è enorme, visitato da 2000 anni di teologia. Eppure il cinema (il musical) lo "risolve", valendosi delle licenze e della spregiudicatezza che lo caratterizzano.

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