Da una mezza dozzina d'anni, ogni mattina mi dedico a un'ora di cyclette. Lo so, a vedermi non si notano particolari segni di un simile dispendio di calorie. Diciamo che è un'attività compensatoria. Un'espiazione delle colpe della sera prima o di quella dopo, difficile valutarlo. La questione è sul genere della gallina e dell'uovo.
Pedalando ormai faccio quasi di tutto. Guardo serie televisive e, in particolare, film. Mezzo alla volta. E in certi casi ne avanza un pezzettino, che scombussola il giro. Poi rispondo le mail e, addirittura, alle telefonate. "Se sto ansimando, non è perché sono felice di sentirti."
La musica però no, non la sento. Credo che sia perché ne ho troppo rispetto. Non posso sentirla distratto dalla fatica. Quantomeno a casa, dove l'ascolto è un rito, da officiare alla distanza giusta dalle casse, con la massima attenzione, seguendo i testi sulle copertine dei dischi.
Al massimo la musica, in cyclette, ogni tanto la guardo. Video di concerti. Per esempio, poco prima di partire per queste "vacanze" (poi vi spiego le virgolette), ho guardato un concerto dei Laibach. Per loro ho una riverente passione da quasi quarant'anni, costellati da discussioni in cui tento di spiegare come siano esattamente il contrario di quello che vogliono beffardamente sembrare con il loro piglio marziale e le divise scure. I Laibach fanno cover di pezzi pop trasformandoli in marce militari, come a dimostrare che non c'è una gran differenza. Andate a recuperarvi il loro capolavoro: Opus Dei, del 1987, e ascoltate come hanno trasformato Life is Life, tremenda hit radiofonica dei dimenticatissimi Opus.
Quel video comunque l'ho guardato anche per via della cantante Mila Špiler, confesso. Ne sono particolarmente ammirato, e non dico altro: la ricerca per immagini la sapete fare da soli. Chiusa la divagazione.
Il concetto di "vacanza", per me, consiste nel potere lavorare in pace in un posto bello. Non è un sacrificio, non c'è nulla di eroico. Voglio dire, dai, scrivo fumetti. Non saprei valutare quale sia il posto più strano dove l'ho fatto. In un certo senso, potrebbe essere in un ufficio.
Così al mare mi porto tutto quello che mi serve, per svolgere mio mestiere. Tranne la cyclette. Perché anche quella serve, a casa, eccome. Al di là della forma fisica (che insomma...), c'è quella carica che mi dà la fatica. Mi carica, sì, e allo stesso tempo mi svuota il cervello. È come fare reset. Per far posto a nuove idee, cancello i brutti pensieri. È una questione di endorfina. Amici medici me lo hanno spiegato.
Però, nel bagaglio, una cyclette non ci sta. Così, durante le "vacanze" vado a correre. E, mentre corro, ascolto musica. Musica liquida, in streaming. L'unico momento dell'anno in cui cedo. A quella e all'uso delle cuffie. Del resto, non posso andare a correre trascinandomi dietro un carrello con giradischi e casse. (Dallo snobismo al ridicolo il passo è breve. Regola di vita, in generale.)
Quindi, improvvisamente la musica che sento è soltanto per le mie orecchie. Non gira nell'aria. È una cosa intima, segreta. Potrebbe essere il momento dei piaceri proibiti. Nessuno saprà mai che non sto sentendo Iosonouncane, ma i Queen...
Cioè, no: era soltanto per dire. Era soltanto un esempio a caso. I Queen no. E comunque adesso non litighiamo. Vi vedo già, voi fan dei Queen. Era soltanto una battuta, scherzavo! Fermi! Viva Freddie! "Mama mia, let me gooo!"
In ogni caso, i piaceri proibiti, in campo musicale, di solito non riguardano tutta l'opera di un... ehm... artista, ma qualche singola canzone sparsa. Per correre, però, devi scegliere un disco.
Almeno, io devo sceglierlo. Mio limite. Mi ostino a non imparare a fare le playlist, a non avere dimestichezza con quelle cose. Se mi avvicino troppo, rischio di cadere in tentazione. Ma che cosa si può ascoltare, mentre si corre sotto il sole che picchia?
Innanzitutto, niente ascolti di dischi nuovi che interessano molto. Significherebbe bruciarseli. Sarebbe come presentarsi a un primo appuntamento con problemi gastrointestinali.
Quindi, niente: rinuncio al nuovo di John Grant, anche se la sua ormai consolidata svolta elettronica - anni Ottanta, wow! - mi dà grande gioia. Sospetto che Boy from Michigan sia un grande album, ma aspetto ad averne la prova quando tornerò a casa. Ho già ordinato il vinile, al solito posto.
Ma anche i dischi a cui sono molto legato, che conosco benissimo, non vanno bene. Ho provato a correre con Closer dei Joy Division in cuffia. Oltre a una certa mancanza di sprint, c'era l'affollarsi di ricordi legati a quei pezzi. Invece di svuotarmi il cervello, me lo sono riempito. Per dirla tutta, poi, in questo caso mi è parso perfino sacrilego usare quel capolavoro per smaltire grasso in eccesso.
Una buona soluzione è il metal. È stato importantissimo in una stagione della mia vita, a cavallo fra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta. L'epoca del thrash (con due acca, perché era altro che spazzatura), del death, del grind... e poi del cerchio che tornava indietro e si chiudeva sull'hard rock di Led Zeppelin e Black Sabbath. Quando ci siamo tutti quanti accorti che il metallo pesante era anche pensante. Lo era sempre stato.
Perciò sto andando a correre riascoltando Master of Puppets dei Metallica, Reign in Blood degli Slayer (che dura giusto quella mezz'oretta, adeguata ai primi giorni running) o Roots dei Sepultura.
Roba dei miei tempi, anche questa. Tempi vecchi, ma velocissimi. Unica contrindicazione: non posso prendere il ritmo da lì. Devo soltanto fare una corsetta, mica doppiare Marcell Jacobs.
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