«E comunque non sono i ricordi a fare di una persona quello che è», disse Dawn. «Specie di questi tempi».
«E che cos’è allora?», chiese Everett […]
«È quello che uno fa. Le scelte». Dawn bevve un sorso. «Quello che si diventa».
«Quindi non ci dovrei tenere per niente a sapere chi ero prima?»
La West Coast, una misteriosa catastrofe, l’amnesia e la paranoia, uno scenario apocalittico e la ricerca della verità: questo è lo sconfinato universo disegnato dall’abile penna di Jonathan Lethem in Amnesia Moon (Minimum Fax).
Siamo nel Wyoming, più precisamente a Hatfork, cittadina devastata dai bombardamenti e popolata da esseri non propriamente convenzionali.
Chaos, il protagonista, vive in un cinema abbandonato, ignora il suo passato e cerca di scordare il presente.
Immaginate Jack Kerouac, Lewis Carroll, Franz Kafka e Philip K. Dick magistralmente miscelati per raccontare una classica, commovente storia di ricerca delle origini e della propria identità (condita da un pizzico di paranoia).
Quando gli vengono svelati alcuni dettagli sul suo passato, Chaos intraprende un viaggio avventuroso alla ricerca della verità, attraversando numerose realtà finte soggettive. Si tratta di micro-mondi le cui leggi fisiche sembrano essere dettate dall’attività onirica di alcuni individui, individui che dunque influenzano e alterano la realtà stessa. Un meccanismo – raffinatissimo – che in qualche modo rimanda a La falce dei cieli di Ursula K. Le Guin.
Del resto, è grande la capacità che dimostra Lethem nel saper mescolare in modo ineccepibile diverse suggestioni letterarie: Philip K. Dick – che l’ha influenzato sin dagli studi a Berkeley – con quell’impronta fantascientifica che suggerisce il tema della perdita della memoria, perno dell’intero romanzo. Ma anche Cormac McCarthy – in particolare con La strada (di cui potete leggere la recensione qui), e Jack Kerouac, che ha fatto del tema della conoscenza di sé la sua cifra.
Sebbene Amnesia Moon sia un romanzo dai toni tanto onirici quanto stranianti, non manca di una forte connotazione politica: senza troppi stucchevoli espedienti retorici, Lethem rappresenta la deformata e deformante società liquida: per usare le parole di Zygmunt Bauman: “la convinzione che il cambiamento è l'unica cosa permanente e che l'incertezza è l'unica certezza”.
I personaggi proposti da Lethem, furbamente identificati da nomi parlanti (Chaos, Edge, Fault...) sono sempre squisitamente convincenti, pur nella loro assurdità (c’è chi si trasforma in un oggetto e chi è interamente coperto di pelliccia), ma rimangono in ogni caso del tutto credibili.
Non solo: l’autore riesce ad annullare la distanza che separa il nostro universo da quello fittizio del romanzo, immergendoci in una suspence enigmatica. Il contesto apocalittico, infine, segnato dall’amnesia generale, non fa altro che creare situazioni e rapporti altamente drammatici, come l’oblio che avvolge anche la donna amata e poi dimenticata da Chaos.
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