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Un'isola di Karen Jennings

Può succedere che la vita crei un percorso dissestato e che riassuma tutto con il pezzo di terra che abiti. Se vivi su un'isola i collegamenti sono meno frequenti, talvolta assenti: c'è la tua sussistenza, non c'è l'altro, non c'è la sua incombenza. Ma cosa accadrebbe se arrivasse qualcosa, qualcuno, a rompere la cortina, o meglio, a rimettere in piedi i collegamenti?

Un'isola, edito Fazi e scritto dall'autrice sudafricana Karen Jennings, ha un protagonista, Samuel, che vede ricominciare la sua storia una mattina, sulla battigia. C'è un uomo, uno dei tanti che ha visto negli anni, lasciato sulla riva dalla prepotenza generosa dell'acqua – che sia salvezza o condanna questo non l'ha mai capito.

Questi cadaveri non li vuole nessuno, così Samuel, nell'assoluta debolezza che resta, smette di chiedere al governo cosa farne. Ma questo è ancora un corpo vivo, è un uomo che lotta.

Nonostante la sua corporeità malconcia, sembra più combattivo e fremente dell'anziano che lo salva. 

Un'isola
Un'isola Di Karen Jennings;

Su una piccola isola al largo della costa africana vive Samuel, il guardiano del faro. L’uomo, ormai anziano, non ha contatti con nessuno da vent’anni: ha costruito una barriera insormontabile tra sé e il mondo che lo ha ferito in maniera irreparabile. Ma un giorno il mare gli porta compagnia; quello che in apparenza è uno dei tanti cadaveri di profughi sospinti a riva dalle onde si rivela in realtà un uomo ancora vivo. Destabilizzato da questa nuova, inattesa presenza, Samuel viene travolto dai ricordi della sua vita sulla terraferma.

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I primi contrasti cominciano così, fra due fisicità che non sanno parlarsi, che sono impietose verso loro stesse ma gestiscono la resistenza in modi opposti.

È una convivenza di tenebra e di luce. Samuel è un guardiano del faro, disilluso da una terra colonizzata, verso cui non si è avuto pietà. Da un dolore lancinante che lo richiama alla crudeltà del reale ogni giorno. Da una prigionia durata per più di vent'anni. Da una redenzione che serpeggia per tutte le pagine e non arriva, non può arrivare.

E Samuel non prova più filiazione per gli esseri umani, si limita a proteggere la sua gallinella più vecchia, forse l'unica di cui gli importi.

Salvare qualcuno può innestare un processo di autosalvataggio o una discesa negli abissi che non dà tregua.

Sono quattro giorni quelli che vengono raccontati in questo romanzo. Quattro giorni che, attraverso innumerevoli flashback, giocano nella linea temporale della storia di Samuel, nella sua inettitudine, nei suoi brividi, in un passato che sa di disillusione e macerie. Così la speranza resta tale, un sussulto d'aria in mezzo agli altri e l'ascesa a un'altra via, verso un'altra strada, è oasi vagabonda, credenza improbabile.

È inutile cercare di sottomettere l'isola ai tuoi voleri. Lei fa quello che vuole

La tenuta di Un'isola si estende nelle coordinate di precisione e gestione narrativa, increspandosi piacevolmente nei sussulti stilistici, mai troppo complessi ma non per questo facili.

È una portata di piena quella di questa storia, che si intreccia in una terra africana senza nome ma intrisa di sofferenze che trovano riscontro in certe realtà storiche facilmente individuabili.

Ma, più di tutto, è corpo alla deriva. Non ricerca un punto di arrivo che sia auspicabile, trova l'unico possibile e cerca di preparare il lettore all'inevitabile, a quello che non si spiega ma che succede.

C'era una dicitura sulle mappe antiche – Hic abundant leones – e quando la si trovava indicava acque inesplorate, forse per questo piene di bestie feroci, sconosciute. Ecco, questo libro è quella dicitura, ma rivolta nella nostra personale solcata verso i mari, verso un limite che forse nessuno ha, quella paura totalizzante di poterci spingere verso l'ignoto delle azioni, senza la possibilità di tornare più indietro.

Un'indagine introspettiva che ti fa chiudere l'ultima pagina con altre consapevolezze, quelle migliori, sono quelle che ti aspetti.

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