Su uno Shinkansen, il treno giapponese che viaggia ad altissima velocità, si incrociano una serie di soggetti che hanno missioni diverse tra loro, eppure collegate. Ciò genererà caos.
Il regista, ex stuntman, era già diventato noto per aver compartecipato – benché non accreditato – al primo capitolo della serie "John Wick", quindi si era fatto notare per "Atomic Blonde", nel quale sbalordiva con un piano sequenza (la lotta sulle scale ingaggiata da una Charlize Theron che si era pure scheggiata un dente) davvero funambolico e ad altissimo quoziente di difficoltà, per poi atterrare ai franchising "Deadpool" e "Fast & Furious".
In Bullet Train, Brad Pitt interpreta Ladybug, uno sfortunato assassino determinato a portare a termine il suo compito senza problemi dopo l’ennesimo ingaggio finito male. Il destino, tuttavia, sembra avere altri piani: la missione di Ladybug lo mette in rotta di collisione sul treno più veloce del mondo con avversari letali provenienti da ogni parte del globo, tutti con obiettivi collegati ma contrastanti.
Qui ha a disposizione addirittura Brad Pitt – che fa ancora impallidire i trentenni, urge arrendersi all’evidenza – e al suo fianco diversi attori di richiamo, da Aaron Taylor-Johnson (ruolo delizioso) al sommo Michael Shannon, passando dai camei di Channing Tatum e Sandra Bullock, anche se la scena viene spesso rubata da Joey King e Brian Tyree Henry (davvero spassoso il suo vedere il mondo come se fosse ne "Il trenino Thomas").
Il film è tratto da un romanzo di Kotaro Isaka e deve non poco a Quentin Tarantino, dalle evoluzioni in salsa wasabi del doppio “Kill Bill” a “Pulp Fiction” (il duo Taylor-Johnson/Henry è la miglior riedizione di quella Travolta/Jackson che si sia fin qui vista, sia come tipi che come dialoghi), ma è come se avesse in sé i germi del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde.
La prima metà rappresenta, a mio avviso, di gran lunga la migliore ora di action-comedy che si sia goduta nel nuovo millennio, mentre la seconda svacca in maniera davvero incomprensibile e perde drammaticamente credibilità: dalle situazioni, ai personaggi, ai dialoghi, agli snodi narrativi, diventando di fatto una baracconata, facile bersaglio della critica che probabilmente non vedeva l’ora. Una vera follia.
Infatti, il progressivo apparire dei protagonisti, l’affastellarsi di temi e obiettivi, la definizione dei caratteri, l’inserimento di elementi che si scoprono avere un incastro ben congegnato solo a film in corso, apparecchiano uno spettacolo che parte alla velocità stessa del treno, salvo poi andare in cortocircuito e cedere all’esasperazione, laddove la briglia corta avrebbe invece garantito un’esibizione di puro intrattenimento, è vero, ma potenzialmente impeccabile e del tutto legittima.
In sostanza: il divertimento non manca, è chiaro. Peccato che la necessità di esagerare costi non il realismo – non è ciò che viene chiesto a simili lungometraggi, eh – ma l'ingaggio emotivo. Perché possiamo essere pronti ad accettare l'assenza di verosimiglianza ma non la totale perdita di logica. Viene rabbia, perché la prima metà è decisamente una bomba.
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