Siamo arrivati ad un punto critico per la sopravvivenza del nostro pianeta. Se continueremo a far finta di niente gli effetti del riscaldamento globale produrranno danni irreversibili.
Tra le voci di scienziati, politici, attivisti che tentano di invertire la rotta, quella di Stefano Mancuso si aggiunge alle altre con questo saggio originale e interessante, suggerendo un nuovo disegno architettonico delle nostre città, per renderle più resistenti ai drastici cambiamenti che ci attendono.
Lui che ci aveva fatto conoscere la vita segreta degli alberi e della natura, la loro intelligenza e la loro capacità di interazione e capacità di sfruttare al meglio le risorse, li pone ancora una volta al centro della natura, e questa volta con una ancor più decisa critica all’antropocentrismo che per secoli ha visto l’uomo dominatore e distruttore della natura.
Una nuova prospettiva, che ci permette di confrontarci ed apprendere quegli insegnamenti che hanno permesso a organismi così totalmente differenti dall’uomo, e da cui dipende la nostra vita, di sopravvivere a eventi catastrofici. Ed è proprio sulla differenza, e sulla sua accettazione, che si gioca la narrazione futura della nostra terra. Iniziando da una differente posizione da cui guardarsi e gettare uno sguardo sulle nostre città, volto a cogliere la necessità di un cambiamento radicale ma fattibile, in cui il ruolo degli alberi sarà decisivo per la svolta che ci attende.
Mancuso ridisegna la città del futuro prossimo, in cui la natura dovrà essere riportata all’interno del nostro habitat, in una armoniosa convivenza, che non ha nulla dell’utopia ma che si fa necessità operativa.
“Dagli alberi deriva molto di ciò che ci rende umani”, scrive l’autore, raccontandoci dell’evoluzione dell’uomo, o meglio della sua “co-evoluzione” con le piante. Ma nonostante questa consapevolezza l’uomo ha sempre posto sé stesso come “misura di tutte le cose”, e perfino la storia della scienza, della filosofia e dell’arte hanno relegato a ruoli marginali la natura privandola di valore. Di questa erronea concezione si vedono gli effetti anche nell’architettura delle nostre città “umanocentriche”, che vengono disegnate seguendo il modello del corpo umano.
Mancuso compie un interessante viaggio nella storia dell’architettura e della scienza, soffermandosi anche sulle poche voci rivoluzionarie, come quella del botanico scozzese Patrick Geddes, che aveva idealizzato un modo nuovo di concepire l’urbanistica in termini evolutivi, guardando alla città come ad un organismo vivente. A questa visione oggi diventa necessario ancorarci, guardando al futuro delle città senza dimenticare “la forza dell’evoluzione”.
Specie diverse che condividono uno stesso ambiente modificato dall’uomo, dall’inquinamento e dal cambiamento climatico in atto, sono costrette a mutamenti genetici e comportamentali per adattarsi e difendersi. “Le nostre azioni hanno un effetto irreversibile sulla vita”, scrive l’autore, e da questo ne deriva una responsabilità totale che ci deve portare alla realizzazione di un nuovo concetto di città.
Sorgono molte domande a cui è difficile rispondere. Ma i danni della crescente urbanizzazione sono già visibili e diventa urgente un approfondimento della “biologia evolutiva in città”. Studiare il “metabolismo” urbano significa così anche mettere in rilievo tutto ciò che si sta contrapponendo alla possibilità di vita, come il riscaldamento globale e la limitatezza delle risorse, ma significa anche cercare di guardare avanti e intorno, se è proprio dagli alberi che può nascere un nuovo modello a cui ispirarsi.
Fitopolis, la città vivente (Laterza) ha colto il segreto della longevità delle piante nella loro “modularità”, nella loro assenza di organi specializzati, che tradotto nello spazio abitativo diventa “diffusione”. E’ necessario abbandonare il modello gerarchico e specializzato dei nostri centri abitativi, perdendo qualche vantaggio ma guadagnando una maggior difesa contro i cambiamenti climatici in atto. Le nostre città devono diventare verdi e diffuse, le strade tornare ad essere vive di alberi e pedoni. Per salvaguardare la biodiversità dobbiamo rientrare all’interno del processo naturale, e dobbiamo farlo subito.
E questo perché, come riporta Mancuso in una citazione del botanico russo Kliment Timirjazev, “le piante sono l’anello che lega il sole alla terra”, e abbiamo compreso, con la lettura di questo saggio, anche l’uomo alla vita futura.
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