Leggere Almudena Grandes è, prima di tutto, leggere di politica. Ma quella vera, senza mezzucci, quella delle posizioni distinte, quella dell’identificazione con un ideale. Grandes ci ha lasciato a novembre del 2021, per le conseguenze di una grave malattia, durante una pandemia mondiale che l’ha relegata in casa, ma quei mesi – gli ultimi e febbrili – sono stati dedicati alla stesura quasi religiosa di questo romanzo, Il grande sogno, edito da Guanda.
In un futuro prossimo, il Movimento Civico Soluzioni Subito ha stravinto le elezioni in Spagna. A guidarlo c'è un imprenditore che si fa chiamare il Grande Capitano. Il suo progetto è quello di rifondare la società sfibrata dalla pandemia. In seguito a un blackout generale limita l'accesso a internet e ai mezzi di comunicazione. Il governo prende misure straordinarie perché deve gestire una situazione straordinaria, pensano in tanti. Ma altri sentono puzza di imbroglio e vedono il pericolo di una limitazione della libertà.
Non è riuscita a terminarlo, ma ha affidato al suo compagno, Luis García Montero, la stesura dell’ultima parte. Un capezzale che suonava di tutto fuorché di morte, come racconta anche lui nella struggente nota finale. Vibrava solo nella possibilità della storia, nell’essenza dei personaggi: una missione da concludere.
Almudena Grandes che resta lì a lottare – un verbo a lei carissimo, essendo sempre stata schierata nelle frange di sinistra, lei che ne sapeva davvero il significato – e blocca la stesura dell’ultimo capitolo degli Episodi di una guerra interminabile (quello che avrebbe dovuto essere il sesto e definitivo fra i racconti della guerra franchista) perché Il grande sogno bussa alla porta e, come le storie più necessarie, non può non ascoltarla.
Il romanzo ha tutti gli ingredienti più cari alla scrittrice e fa un passo in là, perché cerca di fermare quello che era il momento attuale della scrittura: una dittatura che usa come pretesto un presente pandemico per insidiarsi con paura e afflizione nelle menti piatte della gente. Si innesca una forma dittatoriale che però non è forzata, è voluta e votata, sembra quasi prendere vita naturalmente, come fosse normale scambiare la scelta, il diritto e la libertà con il silenzio e l’inibizione della loquacità del pensiero.
È presentata come una distopia, eppure la sensazione che resta è la stessa di quando hai appena chiuso 1984 di George Orwell e ti chiedi se davvero si è così lontani da questa possibilità.
Grandes ha spesso descritto il suo Paese, la Spagna, come formata da persone che danno vita a una società in declino, insensibili al prossimo e alle sue povertà, soprattutto interiori, oltre che materiali. Quindi la vittoria del Grande Capitano alle elezioni e la sua detenzione del potere con mezzi opinabili e congetturali, sembra inquadrare perfettamente una critica all’immobilità ideologica.
Il compito del governo è quello di far riprendere le persone dopo una pandemia che ha sfrondato tutti i settori economici e la più grande preoccupazione sembra quella economica più che quella umana. Niente che non ci suoni famigliare? Ma Grandes non cade nella trappola della condanna della nostra gestione pandemica, la usa solo come pretesto, come primo movimento della sua storia che resta un complesso marchingegno da scoprire e a cui attaccarsi, indignarsi e appassionarsi. Un marchingegno che sicuramente critica la dispotica presenza delle fake news e dell’azzeramento della messa in discussione critica di ciò che si legge.
L’altra faccia della narrazione, a discapito del potere, sono i personaggi dell’autrice, i suoi preferiti, i pochi che salvano le trame contorte, le logiche oscure, quelli che appartengono ai fondali del potere, quelli che non lo toccano ma si mordono le labbra in un angolo, aspettando solo la resurrezione di ideali che forse non sono un elettrocardiogramma piatto.
Il romanzo è un quadro perfetto, uno scossone di cui forse abbiamo bisogno, un risveglio, ma in fondo tutto l’ha scritto Almudena Grandes nel suo romanzo e lo affida perfettamente al titolo originale spagnolo – mai mancando di benedetta provocazione, come era solita – in fondo, Todo va a mejorar.
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