Il 7 settembre 1951 William Burroughs e sua moglie Joan Vollmer Adams si recano assieme al Bounty Bar di Città del Messico.
Burroughs, che tossicodipendente lo è stato a lungo, impenitente e irredento, cerca qui la nostra complicità, ci invita nel mondo criminale mettendo a nudo il nostro voyeurismo, ci porta dove vuole finché siamo costretti a domandarci: da che parte stiamo?
Quella sera Burroughs ha una pistola da vendere poiché ha necessità di soldi per comprarsi della droga. Il suo piano di disintossicazione dall'eroina non ha avuto gli esiti sperati.
La porta dentro un sacchetto in appartamento sopra il bar, dove è in corso una bevuta tra amici, e durante una pausa nella conversazione, Burroughs estrae una calibro 38 dal sacchetto e, come se fosse un vecchio trucchetto che fanno alle feste, dice alla moglie di fare il numero di Guglielmo Tell.
La moglie mette un oggetto sulla testa, Burroughs, a due metri di distanza spara un colpo che va a perforare la tempia della donna, morta immediatamente. Dopo quel tragico avvenimento, che Burroughs considera essere causato da un “brutto spirito ostile”, si dedica totalmente alla scrittura, quasi come mezzo catartico per poter liberare tutto il male che la vita gli ha iniettato nel suo corpo.
Allen Ginsberg ha un ruolo fondamentale per la pubblicazione del primo romanzo di Burroughs nel marzo del 1953, scritto nei mesi successi all’omicidio della moglie, dal titolo Junky, appena ripubblicato da Adelphi con lo stesso titolo, a cura di Oliver Harris, nella nuova traduzione di Andrew Tanzi, a distanza di oltre 60 anni dalla prima edizione italiana, La scimmia sulla schiena, pubblicato nel 1962 da Rizzoli, introdotto da Fernanda Pivano e tradotto da Bruno Oddera. In una lettera a Ginsberg del 1952 Burroughs scrive:
Potrei baciarti su entrambe le guance. Dovremmo abituarci a chiamarci tesoro. Da quello che ho capito è il modo in cui ci si rivolge tra agente e autore
Il primo editore americano è la Ace Books, specializzata nei nuovi tascabili a buon mercato, e il titolare era A.A.Wyn, lo zio di Carl Solomon, che ha fatto compagnia a Ginsberg nell'ospedale psichiatrico, alla fine degli anni '40.
Il libro segue la vita del narratore, che inizia a usare droghe per la prima volta come studente universitario e che successivamente diventa un tossicodipendente cronico. La narrazione si concentra sulle sue esperienze come spacciatore e sulle sue avventure nella scena della droga. Il testo descrive in modo crudo e diretto la vita dei tossicodipendenti, mettendo in luce le difficoltà e i pericoli che gli stessi affrontano ogni giorno.
La scrittura di Burroughs è intensa e viscerale, e il suo stile crudo e asciutto si adatta perfettamente alla materia che tratta. Il romanzo non risparmia nulla, né nelle descrizioni della vita nell'ambiente della droga né nelle descrizioni dell'effetto delle droghe sui corpi e sulle menti dei tossicodipendenti. Nonostante la natura disturbante del contenuto, l'autore riesce a mantenere un tono sardonico che rende la lettura più accessibile. Junky è l’unica storia lineare e trasparente di Burroughs, lontano dalle pagine sperimentali, visionarie e oniriche dei romanzi successivi, eppure lascia già trasparire sottotraccia le inquietudini spettrali che lo renderanno nella seconda metà del ‘900 uno degli autori di culto della letteratura americana e non solo.
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