Qeto, Dina, Nene, Ira. Quattro amiche cresciute insieme in Georgia, piccolo stato dell’Unione Sovietica nella città di Tbilisi. Quattro bambine poi adolescenti unite da un’amicizia che nulla potrà scalfire.
Dall'autrice bestseller de L'ottava vita, una storia privata che è anche la storia della rivoluzione seguita al crollo dell’Unione Sovietica.
Siamo negli anni ’90 quando in Unione Sovietica il vento della ribellione e della voglia di indipendenza soffia fortissimo. Le quattro ragazze ne sentiranno le conseguenze sulla loro vita. Saranno anni di povertà, di violenze, di guerre sempre troppo vicine ma saranno anche anni di amori, di rivalsa, di crescita personale.
Ad annodare i fili della loro storia è Qeto. La sua voce narrante ci aiuta a leggere questo meraviglioso racconto di amicizia e segreti senza mai perdere il filo.
Questo libro di Nino Haratischwili è un vero e proprio gioiello per l’idea, per la costruzione, per i personaggi. L’autrice ci porta nella sua città d’origine e ci racconta, attraverso gli occhi delle protagoniste, una nazione in rivoluzione che cambia proprio come le quattro ragazze che crescono attraversando fasi importanti della loro vita.
Una retrospettiva fotografica in cui vengono mostrate le fotografie di una di loro (Dina) è l’occasione dopo trent’anni per incontrarsi nuovamente. Questa volta non nella loro città, Tbilisi, ma a Bruxelles.
Fin dalla prima pagina del libro si scopre che saranno in tre, perché Dina non c’è più.
Era Dina, che nell’ultimo anno di quel secolo di piombo, malato e boccheggiante, sarebbe finita con un cappio al collo, un cappio improvvisato con la fune di un anello da ginnastica
Le foto saranno il ponte che unirà il passato al presente in questo romanzo dal forte impatto emotivo. Ogni immagine è un racconto, un ricordo, che rivive e si rigenera nella mente di Qeto portando alla memoria emozioni, sensazioni, addirittura odori e sapori di un tempo passato che è rimasto in attesa senza mai perdere la sua importanza.
Qeto non stacca gli occhi da alcun particolare di ciascuna foto, perché in ogni foto c’è lei, Dina, la sua migliore amica, distante anni luce da lei per carattere e comportamento ma complementare a lei. Qeto è visceralmente legata a Dina, al bisogno di lei, e il suo ricordo le evoca dolore anche fisico.
La meno immune al suo uragano ero io. Ero la sua adepta più fedele, la sua compagna ideale. L’avrei seguita in tutte le sue terre magiche, persino nella stessa Oz, e anche molto oltre
Ormai adulte le tre donne hanno intrapreso strade diverse, vivono in continenti diversi e parlano, addirittura, lingue diverse. Sembra quasi che vogliano occultare, nascondere, dimenticare le loro radici, ovvero ciò che erano.
Un segreto le unisce dall’adolescenza ma al contempo è lo stesso che le ha rese cupe e, per certi aspetti, nemiche. Tra di loro c’è una frattura evidente. Sono scottate da episodi indimenticabili di cui faticano a parlare e gli anni trascorsi non sono bastati a placare la sofferenza che si riscontra nei loro sguardi, nei loro corpi, perfino nel vibrato della loro voce. Tutto in loro evoca sofferenza.
Il mio sguardo si sofferma su questa piccola fotografia, in una cornice semplice, sotto un fascinoso, sottile tubo al neon. Perché è appesa tutta sola a una grande parete, come se fosse orfana? Più mi avvicino più mi diventa chiara la sua funzione centrale: è l’unica fotografia che mostra l’artista ma non è stata scattata da lei.
Nei ricordi di Qeto scopriamo tradizioni di una Georgia che non c’è più ma che rimane radicata in ogni fotografia di Dina. Fin dalle prime pagine del romanzo si evince che la figura femminile è la protagonista assoluta.
Essa viene declinata nelle sue tantissime forme attraverso donne dal temperamento diverso.
Non solo le quattro ragazze, quindi, diverse nel carattere e nello stile ma anche le nonne di Qeto (orfana di madre) e le madri delle altre protagoniste. L’emancipazione e l’indipendenza della madre di Dina si contrappongono al pragmatismo e alla durezza della madre di Ira.
L’autrice ci ha già abituati a grandi romanzi generazionali. Non si può, infatti, non citare il suo romanzo precedente L’ottava vita (Marsilio, 2020) con il quale ha vinto diversi premi e che racconta la storia di diverse donne divise dalle generazioni ma unite da una ricetta per la cioccolata calda, croce e delizia della loro vita.
La luce che manca è una metafora per individuare chi nella nostra vita incarna la luce. Probabilmente anche nel romanzo la “luce” è qualcuno. Sta a voi constatarlo!
La luce va bene, decido subito, sono sollevata. Le sue fotografie richiedono proprio quella luce, una luce misteriosa, quasi timida che mette in risalto la sua maestria, enfatizza il deciso bianco e nero…
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