È il 1941. Rosario ha dodici anni quando un giorno, senza troppe spiegazioni, viene portata via dal suo paesino in Argentina, San Juan, e consegnata dal padre a una signora anziana che la carica su un’auto portandosela via. Solo in seguito la protagonista capirà cosa è successo: il padre, troppo povero per mantenere sia lei che i suoi numerosi fratelli, l’ha venduta come schiava. Da allora sono passati quarant’anni e quella è l’ultima volta in cui Rosario ha visto la sua famiglia riunita.
San Juan. «Ormai sei grande. Sei forte e non hai paura di niente.» Sono queste le ultime parole che la dodicenne Rosario sente pronunciare da sua madre prima di salire su una macchina che la porta per sempre lontano da casa. Arrivata alla fattoria, Rosario riceve un nuovo nome, perché, a sua insaputa, è stata venduta dalla famiglia, costretta dalla povertà, a una coppia che ha bisogno di manovalanza
Leggendo l’incipit fortissimo di Le mille strade per Buenos Aires non ho potuto fare a meno di pensare a una vicenda biblica, quella di Giuseppe, l’ultimo figlio di Giacobbe, venduto dai suoi fratelli a degli egiziani che lo costringono a lavorare come schiavo. Quella di Giuseppe è una storia che mi ha sempre affascinato moltissimo, una storia di migrazioni e di rivalsa, temi centrali anche nel romanzo dell’esordiente Valeria Provenzano, da poco uscito per Garzanti.
La signora che ha portato via Rosario si chiama Iris, è un’ebrea ortodossa e le cambia subito il nome in Judith, che in ebraico significa “la lodata”. Il sabato è l’unico giorno in cui è concesso riposarsi, per celebrare lo Shabbat. Oltre alla signora Iris e suo marito, nella fattoria vive un ragazzo giovane, Ivri, (il cui vero nome è Facundo) a cui è toccata la stessa sorte della protagonista, ma che al contrario suo la accetta con gioia e ne è addirittura grato. Con la sua famiglia rischiava di morire di fame, ora deve lavorare duramente ma almeno il cibo non è più una preoccupazione giornaliera.
Le cose cambiano radicalmente quando durante un terremoto Iris viene colpita da una trave del soffitto e rimane paralizzata. Si rende allora conto di avere davvero bisogno dell’aiuto di Rosario e Facundo e non li maltratta più. In questo clima di serenità i due giovani si conoscono meglio e si innamorano. Quando Rosario rimane incinta vorrebbe andarsene da quella casa, che nel profondo non ha mai smesso di odiare, ma Facundo non vuole abbandonare Iris e rinuncia a seguirla. Da allora per Rosario comincia un lungo, interminabile, pellegrinaggio.
Prova prima a tornare a casa sua, ma scopre che è tutto diverso. Sua sorella Pilar è andata via, si è sposata e ha una bambina, suo fratello Louis è morto durante il terremoto e la madre ha ingerito involontariamente un intero flacone di medicine. Quando Rosario riesce a confessare al padre che è incinta lui le intima di tornare da Facundo e di sposarlo, altrimenti darà alla luce un figlio del peccato. Ma Rosario non ha nessuna intenzione di tornare da lui. Si sposta prima a Buenos Aires, dove incontra una coppia gentile che la ospita e la aiuta a crescere sua figlia, poi a Montevideo, dove conosce un altro uomo e si costruisce una famiglia sua.
Buenos Aires, in fin dei conti, era un film incredibile che non volevo finisse mai
La storia di Rosario non è così dissimile da quella della sua autrice, nata nei Caraibi Venezuelani e poi spostatasi a Caracas, Toronto, Montevideo e infine Torino, città in cui si è stabilizzata e dove insegna e traduce. Come lei stessa afferma, nello scrivere questo romanzo è stata fortemente influenzata dalla cultura, il cinema, la storia e il senso dell’umorismo argentino, e in parte minore anche dalla storia dell’Uruguay e del Venezuela.
Chi ha amato i romanzi di Tara Westover e Isabel Allende non potrà fare a meno di riconoscere in Valeria Provenzano una degnissima erede, tutta da scoprire.
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