C’erano giorni in cui il vicequestore Rocco Schiavone sospettava che la questura di Aosta altro non fosse se non un reparto di psichiatria di un ospedale in cui detenevano pazienti in regime di TSO. Non poteva altrimenti spiegare i pensieri e i comportamenti dei suoi colleghi
Roma non è più la città del cuore per Rocco Schiavone?
Perché vende il suo attico del centro, estirpa le sue radici e riprende la strada per Aosta senza girarsi indietro? Cos’è accaduto, cosa l’ha ferito in modo tanto grave?
Sconsolato, amareggiato ma non in cerca di vendetta, Rocco pranza a Trastevere con gli amici Brizio e Furio. Manca Sebastiano, il compagno di sempre, quello che sembrava l’alleato più sincero, l’uomo che l’ha deluso, l’ha colpito più di tutti. Lasciare indietro il passato, non tormentarsi, dimenticare almeno in parte è quello che vuole ora Rocco. Sebastiano è fuggito all’estero, non importa dove.
Ad Aosta – dove è sempre vicequestore - lo attende un nuovo caso: un cadavere, anzi, delle ossa ritrovate in un bosco vicino a Saint-Nicolas che appartengono a un bambino, alla cui identità Rocco fatica non poco a risalire. È il piccolo Mirko di appena dieci anni. Quale sia stata la causa della morte è presto detta: assassinio.
E subito si svela anche la trama terribile che ha portato a questa uccisione: la pedofilia. Il colpevole? Uno, due, più persone? Conoscevano il bambino, l’hanno adescato davanti a scuola. A distanza di sei anni dall’accaduto sarà possibile risalire ai colpevoli, scoprirne le identità, riscostruire i fatti e rintracciare le prove?
Ne Le ossa parlano, Antonio Manzini procede di un altro capitolo nel grande romanzo del suo personaggio: Rocco Schiavone. Un romanzo unico composto da più gialli intricati che esplorano le complessità della natura umana.Un medico in pensione scopre nel bosco delle ossa umane. È il cadavere di un bambino.
La squadra di Rocco si mette al lavoro, più motivata che mai. Sono i collaboratori di sempre, con i pregi e i difetti che chi ama questa serie conosce già molto bene: Italo l’accanito giocatore; gli imbranati Stanlio e Ollio; il poliziotto più anziano felicemente fidanzato; quello che aiuta in panetteria;, il sospettoso procuratore Baldi; la Gambino, dottoressa della scientifica dotata di un laboratorio bunker… Poi torna ad affacciarsi Caterina, l’amata e odiata Caterina che in passato ha ben mascherato la vera motivazione della sua presenza in quel di Aosta.
L’indagine si allarga verso il Piemonte, Ivrea e Torino. Rocco questa volta può avvalersi dell’aiuto di colleghi e procure molto disponibili. Fermare i colpevoli, sbattere in galera chi si macchia di un reato così ignobile è un collante potente.
Il taglio narrativo di Manzini – impostato su dialoghi serrati - non perde freschezza e ironia con il passare del tempo. La figura di Rocco Schiavone non si è imbolsita (letterariamente parlando) pur invecchiando e assumendo qualche tratto meno spigoloso. Con Marina – la moglie uccisa per errore al suo posto – il dialogo si fa più rarefatto, la sua immagine è meno presente. In generale ora le donne non sono al centro dei pensieri di Rocco, tutto preso dal parto della sua cagnolina Lupa e dalla nascita dei cuccioli, ma soprattutto fortemente concentrato sull’indagine per un reato che lo indigna. Manzini, come fece Camilleri e come continuano a fare molti giallisti italiani, traccia la personalità del suo protagonista introducendo i temi più caldi dell’attualità, denunciando, esprimendo sdegno. E come sempre coinvolgendo il lettore nelle sue trame ben congegnate.
«Comincio a pensare che lei in fondo sia una brava persona Schiavone».
«Ma proprio in fondo?».
«Certo, in fondo in fondo, a destra, dove di solito si trova il cesso».
Lo scenario: Aosta
Fruttero e Lucentini nel 1972 inaugurano il filone d’oro del giallo regionale italiano con La donna della domenica (si festeggia il cinquantenario proprio quest’anno). Certo, prima c’erano stati Scerbanenco - padre dei giallisti nazionali - e Gadda con il Pasticciaccio, ma un luogo connotato protagonista di una storia poliziesca come la Torino del due F&L era davvero una novità. Da allora sappiamo bene quanti paesi, cittadine e metropoli sono diventate sfondo pulsante delle trame dei giallisti italiani: le due facce della Milano di Robecchi e Recami, la Bologna di Lucarelli e Macchiavelli, la Roma di De Cataldo e l’inconfondibile Napoli di De Giovanni… Manzini ha scelto Aosta, narrata com’è. Con tutta la sua negatività, provincialità, chiusura. Con le montagne belle da ammirare ma anche incombenti come una continua minaccia. Con il freddo, la neve (che se non scii è solo fastidiosa), i pochi locali, il teatro romano e le vallate che la circondano. E il Casinò di Saint Vincent calamita per trafficanti e malavitosi. Una Valle d’Aosta che finora non era mai stata raccontata. Un luogo di confine (e di confino per Rocco) che ringrazia Manzini per la popolarità che le ha regalato tra i lettori e i telespettatori della serie Tv. «Nel bene o nel male purché se ne parli» come scriveva Oscar Wilde.
I personaggi
Da quando è stata realizzata la bella serie televisiva tratta dei romanzi di Manzini, i volti degli attori si sono sovrapporti a quelli dei personaggi “di carta”. Scoprendo poi che Marco Giallini ha ispirato direttamente la figura di Schiavone, questo legame diventa quasi indissolubile. Inevitabile leggendo questo capitolo della serie pensare al volto di Isabella Ragonese per Marina, di Christian Ginepro per il raffazzonato D’Intino, di Claudia Vismara per Caterina, di Alberto Lo Porto per il bravo Antonio Scipioni, di Valeria Solarino per la giornalista Sandra Buccellato, o di Massimiliano Caprara per Deruta… Sarebbe interessante sapere cosa ne pensano i lettori. È un bene o un male? In qualche modo si interferisce nell’esperienza del lettore e nella sua immaginazione?
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