Il primo decennio del XX secolo non era un gran periodo per nascere nera, povera e femmina a St. Louis, in Missouri, ma Vivian Baxter era nata nera e povera, da genitori neri e poveri. Più avanti sarebbe cresciuta e le avrebbero detto che era bellissima. Da donna adulta sarebbe stata conosciuta come la signora dalla pelle color burro d’arachidi con i capelli all’indietro
È così che Maya Angelou inizia a raccontare di sua madre, ed è così che inizia Lei che mi ha liberata, l’ultimo dei suoi sette libri autobiografici, tradotto e pubblicato da Le Plurali Editrice per la prima volta in Italia.
In questo commovente memoir, per la prima volta tradotto in Italia, Maya Angelou, grande scrittrice e poeta afroamericana, racconta la sua vita attraverso la lente del suo rapporto con la madre, Vivian Baxter.
Ogni storia che Angelou ha deciso di raccontare parlava di sé ma anche della cultura afroamericana, di femminismo, di arte, poesia, scrittura, dei diritti imprescindibili degli esseri umani, e in questo scritto, commovente e intenso, il filtro per raccontare le sue vicende personali, l’infanzia, l’adolescenza e il successo professionale, è la relazione con sua madre.
Il riflesso che ne viene fuori, abbagliante e potente, è quello del rapporto madre-figlia, indagato fin dalla notte dei tempi in ogni ambito della conoscenza, che l’autrice rende speciale perché permette ai lettori e alle lettrici di conoscere sua madre con il suo stesso sguardo, di perdonarla e perdonare se stessa come genitrice, di comprenderla per capire sempre meglio se stessa, di lasciarla entrare nella sua esistenza perché standoci dentro sua madre ha potuto migliorarla.
Mamma chiamò una delle infermiere e disse che ero già depilata e poi mi lavò di nuovo. Salì con me sul tavolo del parto e si inginocchiò. Mise una delle mie gambe contro la sua spalla e mi prese entrambe le mani. Poi mi raccontò storie e barzellette oscene. Andava a tempo con le battute rispetto alle contrazioni e io ridevo. Mi incoraggiava: «Va bene così, spingi, spingi».
Maya Angelou aveva diciassette anni quando nacque suo figlio. E sua madre Vivian l’ha accompagnata anche in questo viaggio, e l’aspetto più interessante di questo libro e della vita stessa di Angelou è che questa madre che le ha insegnato il perdono e il femminismo, l’amore per se stessa e le possibilità che si aprono se si crede nelle proprie capacità, l’aveva “abbandonata” da bambina.
Maya cresce con la nonna paterna a Stamps, in Arkansas, insieme a suo fratello maggiore. Ci rimane fino ai suoi tredici anni, quando Vivian pensa sia giunto il momento di avere di nuovo figlia e figlio con sé. Maya non è felice di quel ricongiungimento, sua madre è un’estranea che l’ha lasciata crescere lontano ma ciò che emerge dalle pagine del libro è come tra le due donne si inneschi da subito un sodalizio, che fallisce e riemerge, che si assesta di colpo in colpo, attraverso il rispetto, trasformandosi in una sorellanza speciale che parla anche della forza della resistenza a quelle discriminazioni intersezionali di genere e razza che sono alla base dei movimenti femministi che tutt’oggi perpetuiamo.
Mi venne vicino e disse: «Amore, sai che non ho fatto niente a quell’uomo. È lui che ha fatto qualcosa a me. Vedi, piccola, devi proteggere te stessa. Se non ti proteggi, sembri una stupida che chiede a qualcun altro di difenderla». Ci pensai un attimo. Aveva ragione. Una donna deve sostenersi da sola, prima di chiedere a chiunque altro di sostenerla.
Angelou ha avuto una brillante carriera ed è considerata una tra le più importanti intellettuali del Novecento. In questa autobiografia la si vede muovere i primi passi nella scrittura di drammi e sceneggiature, anche se è molto nota per la sua attività come poetessa.
Ha combattuto per i diritti degli afroamericani accanto a Malcolm X e Martin Luther King e ha messo in luce con le sue parole la vita ai tempi del proibizionismo e del Ku Klux Klan.
Il libro, dal titolo originale Mom & Me & Mom, pubblicato due anni prima della sua morte, mostra infatti anche uno spaccato crudo e violento delle discriminazioni razziali e di come questo sia stato per Maya un pensiero costante anche nella sua genitorialità, nel crescere un bambino in una società che gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote a prescindere solo per il colore della sua pelle.
Ma sicuramente anche in questo Vivian ha saputo indicare una strada e Maya l’ha percorsa e arricchita con la sua personalità e il suo segnante estro artistico.
Mia madre parlava bene di me, e a me. Ma ancora più importante, ogni volta che la incontravano o che semplicemente sentivano parlare di lei, era là con me. Mi copriva le spalle, mi supportava. Questo è il ruolo di madre, e in questa visita ho capito chiaramente, e per la prima volta, perché una madre è davvero importante. Non solo perché dà da mangiare e anche amore e coccole e addirittura vizia un bambino, ma perché in un modo curioso, e forse misterioso ed etereo, sta in uno spazio vuoto. Si colloca tra l’ignoto e il noto. A Stoccolma, mia madre ha diffuso intorno a me il suo amore protettivo e senza sapere il perché, le persone sentivano che io valevo.
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