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Amori tossici. Alle radici delle dipendenze affettive in coppia e in famiglia

L’amore è ancora per un giovane quel motore psichico che offre l’energia per crearsi una nuova vita, per uscire dalla casa dei genitori, per incontrare un altro? I ragazzi vengono ancora a parlare d’amore in analisi?

Queste le domande, che assolvono la funzione di premesse da cui prende avvio Amori tossici. Alle radici delle dipendenze affettive in coppia e in famiglia: il libro firmato da Laura Pigozzi e uscito quest'anno per Rizzoli.

Psicoanalista e psicologa clinica, formatasi tra l’Italia e la Francia con un cursus honorum et studiorum di tutto rispetto, l'autrice decide di condensare in queste pagine la sua esperienza di acuta osservatrice ma soprattutto esperta ascoltatrice della società contemporanea, ponendo una particolare attenzione ai giovani e alle donne, così come ai rapporti sentimentali e famigliari che costituiscono la trama complessa del tessuto sociale di cui siamo più o meno consapevolmente attori.

Amori tossici. Alle radici delle dipendenze affettive in coppia e in famiglia

Laura Pigozzi, punto di riferimento della nuova psicoanalisi, racconta in quanti modi l’odio e l’amore che respiriamo nell’infanzia determinano il grado di indipendenza e di equilibrio che poi sapremo vivere da adulti, liberandoci dalla tossicità di molte relazioni claustrofobiche.

O, sempre più spesso, inermi spettatori. Ogni giorno, infatti, ci troviamo di fronte allo spettacolo raccapricciante di una società affetta da patologie, alcune croniche e in parte già conosciute, e altre di recente formazione e per questo alla ricerca di diagnosi: i cui sintomi, però, sono sotto gli occhi di tutti e che esplodono in spietati (assolutamente privi di pietas) fatti di cronaca che ormai sono più la regola che l'eccezione.

A partire dall’ennesimo episodio di femminicidio di Giulia Cecchettin, che negli ultimi giorni ha tragicamente catalizzato l’attenzione mediatica, riportando in primo piano un tema come quello della violenza sulle donne che è evidente sintomo, appunto, di un radicato problema sociale.

In questo libro, dunque, l’autrice si propone di (ri)leggere i fenomeni sociali contemporanei alla luce della teoria psicoanalitica, di cui Pigozzi stessa è un faro e un punto di riferimento fondamentale, in modo tale da fornire a chi si avvicina a questa lettura con la curiosità di un Prometeo: da un lato, gli strumenti per scandagliare il reale e illuminarne le zone d'ombra, gli angoli bui, invisibili o inaccessibili; dall’altro la facoltà di dar loro un nome, delimitandone il confine.

Un concetto, quest’ultimo, che costituisce una sorta di leitmotiv nel libro, legato a doppio filo a quello di parola: che del confine ne è la traccia. «Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!» diceva Michele Apicella, il citatissimo personaggio di Nanni Moretti in Palombella Rossa.

Nello scoperchiare il vaso di Pandora e mostrarci i mali che affliggono la psiche del nostro mondo (con la parola “psiche” gli antichi greci intendevano l’anima, il soffio che dà la vita, e qui ne richiamo la sfumatura semantica), la prima urgenza che anima Pigozzi, in quanto «appassionata di umanità» ancor prima di esserne esperta professionista, è quella di indicare e prestare le parole giuste, appropriate, coniate ad hoc per definire un disagio a chi non sa dargli un contorno preciso.

Sempre di più, infatti, le persone che costituiscono la società di oggi sembrano soffrire di «alessitimia»: vale a dire dell’incapacità di trovare parole per ciò che si prova.

La maggior parte delle storie che ascolto riguarda un modo tutto contemporaneo di non stare nel legame: raccontano la sofferenza provocata dal ghosting, cioè quando si viene lasciati dal partner senza una parola, a volte senza nemmeno un sms, ma anche dai serial lover – sia maschi sia femmine –, così come quella dovuta alle manipolazioni controllanti dei gaslighter a cui molti non sanno neppure dare un nome

Che la lingua sia “un prodotto sociale della facoltà di linguaggio” in grado di ritagliare e definire la realtà, lo diceva Saussure, considerato il fondatore della linguistica moderna; ma Pigozzi, autorevole esponente del pensiero psicoanalitico contemporaneo, dal suo punto di vista aggiunge un tassello essenziale: «senza la lingua anche la struttura delle relazioni appare poco chiara». E su tutti, il sentimento che padroneggia le relazioni umane su cui c'è più bisogno di far chiarezza è l'amore. O chi per lui. E chi, per lui? 

«L’amore ha bisogno di confini perché è un ballo a due» è la bellissima definizione che apre il capitolo dedicato alle diverse forme di “amore tossico” – che, per inciso, amore non è.

Nella danza di coppia, infatti, il confine non è rigido ma dev’essere chiara la linea di rispetto: danzare alla giusta distanza significa scongiurare sì il pericolo di soffocarsi o schiacciarsi i piedi, ma anche di essere abbastanza prossimi per potersi muovere all’unisono, seguendo lo stesso ritmo.

Nella vita quotidiana con l’altro non c’è una procedura certa per gestire la distanza, proprio come nel ballo. Il vivere insieme non può essere del tutto codificabile e quindi la coreografia dell’Io con l’Altro risulta sempre imperfetta, se non addirittura sgraziata. Per descrivere questa difficoltà di relazione il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer utilizzò il dilemma dei porcospini che, in una fredda giornata d’inverno, si stringono l’uno all’altro per non assiderarsi. Tuttavia, ben presto con gli irti aculei si pungono reciprocamente e quindi si allontanano fino a che il freddo li fa di nuovo avvicinare riproponendo però il fastidio. È questo il dilemma dell’amore? È una parentesi instabile tra il freddo e il dolore? Alcuni pensano che sia preferibile la solitudine, anche gelida, piuttosto che rischiare di soffrire in una relazione; altri subiscono le ferite pur di evitare l’inverno di un’esistenza solitaria. Dopo alcuni tentativi, i porcospini trovano la misura di una distanza possibile: è il loro ballo.

Dunque, gli uomini, nella condizione dei porcospini di Schopenhauer, appaiono destinati a una perpetua oscillazione tra un’incolmabile lontananza e un inconfortevole contatto, e il massimo a cui l’equilibrio umano sembra poter ambire è proprio il momento di sospensione tra le due posizioni: quel fugace attimo di sollievo (e cioè di levitas, per scomodare un'elegante parola latina, questa volta).

Ma in amore, i confini saltano troppo spesso. Non a caso uno dei ritornelli dell’amore è infatti «né con te, né senza di te». L’idea di confine può essere una guida per analizzare i fenomeni dell’amore e dell’odio, spesso due facce della stessa medaglia.

Un confine ha una doppia funzione: di riparo e legame. Può avere una sapiente porosità, essere un luogo di passaggio, un punto di equilibrio, di preziosa ambivalenza, una zona di scambio delicata ma decisiva. La paura, che padroneggia la nostra vita nella convinzione di proteggerla, in realtà mobilita.

 Ma «l’odio non possiede l’intelligenza del confine» e negli incontri fatali: ghosting, serial lover, gaslighter viene infranta proprio la doppia funzione del bordo, quella di oscillazione tra contatto e separazione. Così “l’amore tossico” fa proprio questo: scavalca i confini, li disintegra, in una fusione assoluta dell’Io con l’Altro in un’unica cosa. E «l’amore assoluto è un amore tossico»: amare smisuratamente l’altro equivale a odiarlo, così come odiare sconfinatamente l’altro può celare cela un amore occulto (a volte occultato anche a se stessi).

Nell’eterogena matassa di ansie, infatti, che vede intrappolati i giovanissimi ma non solo, spesso il fil rouge invisibile che lega le storie di ognuno e che non può sfuggire all’analisi di un bravo psicoanalista è che «che l’amore tossico che si vive da adulti nasce in famiglia: sono gli attaccamenti morbosi infantili che mantengono nella confusione l’amare dell’adulto».

L’amore tossico non si fabbrica da sé o attraverso una sequela di cattivi incontri con gli uomini. I cattivi incontri arrivano sempre prima, secondo il copione della madre abbandonica, o arriva l’incontro esagerato nell’ipercura del plusmaterno.

Per illustrarci l'esistenza di un continuum tra minusmaterno e plusmaterno, l'autrice riporta la storia di Norma Jeane Baker, in arte Marilyn Monroe, che all’età di sette anni rischiò di morire affogata dalla madre in una vasca di acqua bollente, mentre a testimonianza del secondo, raccoglie le esperienze di molti giovani che oggi vengono soffocati dalle eccessive cure da parte della figura materna. E spiega:

Essi si tengono spesso per mano e una madre abbandonica, quando c’era bisogno di lei, può voler recuperare più tardi con un eccesso di cura, proprio nel momento in cui invece occorrerebbe lasciare andare i figli. Oppure, una madre può essere abbandonica con un figlio (spesso il primo) e plusmadre con un altro (spesso l’ultimo), secondo lo schema attivato da un senso di colpa per un comportamento precedente che si vorrebbe così compensare, introducendo invece, con il plusmaterno, un danno a volte più consistente.

È lei, la plusmadre, il cattivo incontro per un figlio, tanto quanto lo è la minusmadre nella vita di ogni Norma abbandonata. Anche i padri possono essere plusmadri – non pluspadri, da identificare piuttosto con i tiranni autoritari – quando tradiscono il loro compito di passare al figlio le regole “del gioco del mondo” (prendo in prestito, questa volta, il titolo di un famoso libro di Julio Cortázar), trasmettendogli la concezione di sé come "essere nel mondo per il mondo" e non per sollazzare i genitori. Le esagerazioni di un plusgenitore si radicano nella scena inconscia del figlio.

Il tipo di amore ricevuto dal bambino non è forse la radice dell’amore che lui vivrà nel futuro?

Cosa significa, allora, amare? Cos’è l’amore oggi? In questo libro Laura Pigozzi scandaglia, dunque, questo sentimento: partendo dalla radice e avvalendosi di una ricca serie di riferimenti, anche cinematografici e letterari, ne indaga l’evoluzione e s'interroga sui significati che questo ha assunto nel corso del tempo per l’essere umano, per approdare infine a una lucida analisi della funzione utilitaristica che ricopre oggi in un mondo in cui domina la logica del consumismo.

Anche in amore, infatti, l’altro da sé viene visto sempre più come una merce di consumo.

Ho spesso insistito sul legame tra plusmaterno e capitalismo: entrambi esistono nell’eccesso, nel fuori limite. (…) Anche il capitalismo è una catena dolce, che sembra tenerci tutti in vita. È un benessere che, come quello simbiotico con la madre, ti fa credere di stare bene mentre ti controlla e ti consuma. Il plusmaterno si riproduce attraverso il godimento del bambino, il capitalismo attraverso il godimento della merce.

L’eccesso non può mai essere utile alla costruzione di un domani perché consuma l’oggi. Il surplus capitalista minaccia l’esistenza stessa del pianeta, come il surplus di accudimento plusmaterno minaccia l’esistenza stessa del bambino. Ancora una volta, la cura è il confine, così come la salvezza è nella sperimentazione della perdita, contraria all’accumulo.

La struttura della società capitalistica si regge sulla fantasia del puro eccesso, per la quale “troppo non è mai abbastanza”, così come la plusmadre non fa mancare mai niente al bambino, che non viene così lasciato libero di provare l’esperienza strutturante della perdita e della frustrazione: la promessa della presenza illimitata della madre che impedisce il temuto incontro con la perdita è strutturalmente identica alla promessa dell’eccesso senza mancanza insita nell’inganno capitalista.

«Ma più si accumula, meno godimento si ottiene». Non è forse l’attesa del piacere, il piacere stesso? È la celebre domanda retorica con cui Gabriele D’Annunzio ci insegna come la distanza e la separazione dall’oggetto del desiderio siano fondamentali a tener vivo il fuoco dello stesso. «La vita onora se stessa se onora la mancanza che accende il desiderio e tiene in piedi i soggetti».

Accettare un limite entro il quale posso vivere bene senza incorrere in fantasie onnipotenti, vane, di marca neocapitalista, è la sfida della contemporaneità.

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Psicoanalista e psicologa clinica, si è formata in Italia e in Francia.Alla luce della teoria analitica rilegge i fenomeni sociali contemporanei che riguardano i giovani, le donne, le nuove strutture famigliari, i rapporti genitori-figli.In quanto cantante jazz e formatrice vocale, ha anche formulato una inedita teoria sulla psicoanalisi della voce.È laureata in filosofia, una passione che l'ha accompagnata per tutta la vita, e in psicologia, in entrambi i casi cum laude.Rappresentante italiana di diverse associazioni psicoanalitiche europee, collabora a riviste italiane, francesi, spagnole, svizzere.Ha scritto libri, diversi tradotti in francese e uno in brasiliano. Uno di essi ha vinto il premo di saggistica Citta delle Rose, un altro è stato finalista a un premio CNR e un terzo ha avuto il sostegno alla traduzione dal Ministero della Cultura Italiano riservata ai libri di qualità.Eccoli: Amori Tossici (Rizzoli, 2023), Sorelle (Rizzoli, 2021),Troppa famiglia fa male (Rizzoli, 2020) Adolescenza Zero (Nottetempo 2019), Mio figlio mi adora (Nottetempo editore 2016), Chi è la più cattiva del reame? (Et./al 2012), Voci smarrite (et./Al. 2013, Poiesis 2022), A nuda voce (Antigone 2008, Poiesis 2017)È stata ospite di trasmissioni televisive e radiofoniche nazionali.Recentemente ha aperto un podcast dal titolo: Uscire dalle dipendenze affettive, che si può ascoltare sulle principali piattaforme.

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