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Massimo Troisi di Stefano Veneruso

Tu nun m’hea chiammà zio, m’hea chiammà Massimo!

Stefano Veneruso mette in chiaro fin da subito come non sia una penna qualsiasi, quella che ci racconterà Massimo Troisi. Non è un qualunque scrittore o ammiratore, bensì suo nipote, che coglie l’occasione del settantesimo anniversario della nascita per celebrare ancora una volta un artista amato in Italia e nel Mondo.
Stefano è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico che ha avuto il privilegio di crescere artisticamente a una spanna di distanza dal genio di Massimo, e che ha avuto la fortuna di conoscerlo come uomo. Nel volume infatti, non viene semplicemente descritto Troisi attraverso i suoi film, ma soprattutto per via di aneddoti di vita quotidiana e famiglia.

Troisi. Il mio verbo preferito è evitare

Un libro affettuoso, un omaggio per parole e immagini - molte delle quali inedite e provenienti dall'archivio privato della famiglia - che celebra il grande Massimo Troisi in occasione del settantesimo anniversario della nascita.

La narrazione parte proprio dai primi anni e dalla vita di una famiglia così numerosa da far invidia alle serie televisive americane:

Eravamo sedici persone, io, i miei fratelli, i miei genitori, i miei zii, i loro figli e i miei nonni. Ecco perché quando ci sono meno di sedici persone mi colgono violenti attacchi di solitudine. Infatti, quando nell’adolescenza siamo andati a vivere noi da soli, voglio dire sei fratelli e due genitori, mi sono sentito un po’ sperduto.

Il volume è una panoramica su aspetti apparentemente meno centrali della vita di Massimo, che in realtà si rivelano fondamentali per conoscerlo nel profondo e per capire l’origine del suo pensiero, del suo modo di comunicare e della sua ironia.

Si parla del suo rapporto con la città natale di San Giorgio a Cremano ma anche quello con il calcio, con i suoi cagnolini, con la Fiat 126 perché è un omaggio affettuoso fatto da parole e immagini, alcune delle quali inedite e proveniente dall’archivio di famiglia.

Stefano e Massimo erano separati solo da una quindicina di anni e questo li ha resi come fratelli, uniti anche da un rapporto professionale. Fu proprio lo zio Massimo a incoraggiare Stefano a seguire la passione per il cinema, tenendolo stretto a sé e lasciando che sbagliasse in maniera autonoma.
Stefano ringrazierà per sempre suo zio per avergli concesso l’opportunità di seguirlo come assistente alla regia de Il Postino, uno dei film di maggior successo a livello mondiale (5 nomination agli Oscar). Durante le riprese Massimo si era trasferito in pianta stabile a casa della famiglia di Stefano.

Mentre tutti andavano a letto, lui e io restavamo svegli a fare delle lunghe chiacchierate. Gli piaceva il fatto di avere un quadro esterno del lavoro, voleva sapere tutto di questo film. Con la videocamera, sul set, accumulavo ore e ore di girato; iniziai quindi con lui la costruzione del dietro le quinte sul film che poi ho portato avanti da solo, anche se mi piace pensare che mi abbia guidato dall’alto.

Durante la realizzazione del film, le condizioni di Massimo erano già preoccupanti ma nessuno riuscì a convincerlo a interrompere le riprese dopo l’operazione

Chistu film ’o voglio ferni’ cu’ ’o core mio…

Il viaggio di questo libro però non si ferma all’ultimo lento giro dentro Cinecittà ma prosegue con tutte le opere, le produzioni e gli omaggi che come questa narrazione, dal 1994 alimentano la memoria di Massimo mostrando ciò che non è visibile nei suoi film.

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