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Centomilioni di Marta Cai

Ho vissuto al contrario, rivoltata: l’interno all’esterno, l’esterno all’interno. Attenta a non mostrare nulla, se non la vita fisiologica: andare, camminare, respirare, muoversi lo stretto necessario, mangiare. Una macchina organica al minimo: piatta, con una sola dimensione. Ho vissuto senza esistere, senza mostrarmi, senza essere reale; davvero sono io a scrivere queste cose?

Tra i libri della cinquina finalista alla sessantunesima edizione del Premio Campiello 2023, c'è Centomilioni di Marta Cai. È uno dei figli della recente collana Unici, nata dal desiderio einaudiano di costruire uno spazio per voci nuove, con progetti irripetibili, in cui le autrici e gli autori riversano con forza tutto il loro talento e la loro visione del mondo.

Centomilioni
Centomilioni Di Marta Cai;

Col suo sguardo e la sua voce, Marta Cai illumina tutto: è capace di entrare a gamba tesa nei punti di vista dei suoi protagonisti e di rispettare il brusio nelle loro teste, di calibrare perfettamente il montaggio alternato e poi di farlo esplodere.

Centomilioni racconta di Teresa, «una zitellona di provincia senza qualità», come si definisce lei stessa nel suo diario. Teresa ha quarantasette anni, vive in una cittadina di provincia con i genitori – opprimente e anaffettiva la madre, malato di Alzheimer il padre –, ha un lavoro che non la soddisfa e che non le riesce, non ha alcuna esperienza dell’amore, è sottile come una sogliola e come una sogliola vive sul fondale. Le sue settimane sono tutte uguali, e i giorni si distinguono l’uno dall’altro esclusivamente per il cibo cui sono destinati: l’unica sua gioia, in questa vita bloccata, è fumare. 

Ma se tutto ciò che è imploso ha teso verso una deflagrazione, Teresa non è diversa: l’occasione è il ritorno in paese di Alessandro, un suo ex studente appena maggiorenne – che è bellissimo, che vuole tutto e non ha niente. 

Lo penso: cos'altro c'è nell'amore? Mi piace sussurrare il suo nome. Mi piace dirlo sottovoce prima di addormentarmi, mi ci riempio la bocca, scandisco bene tutte le sillabe, faccio scivolare lentamente la lingua sui denti, sibilo come una gatta, spalanco le labbra, le arriccio e alla fine gli mando un bacio: Aaaa-le-esssss-ssandro. Alessandro, Alessandro, Alessandro, io ti amo.

Sono i movimenti che non vengono compiuti, le azioni soltanto pensate, l’immobilità di una vita, a essere raccontate. La non storia, il non amore. Il velato riferimento alla Lolita di Nabokov è un ulteriore gioco di specchi, in un libro in cui le ragioni si confondono e nessuno ottiene ciò che desidera, non sapendo nemmeno come si desidera. E se Teresa è illusione, anelito e fustigazione; Alessandro è inganno, cupidigia e violenza: due esseri umani che vivono ai margini di una periferia sentimentale, e che s’incrociano nei loro modi opposti di attraversare il nulla che li circonda e li riempie. 

Centomilioni è un romanzo nuovo nel panorama letterario italiano; un testo a cui non si riesce a smettere di pensare, e più lo si pensa, più dà ragioni per essere amato. Eppure, la grandezza di questo libro non va cercata nel, pur ottimo, manifesto di un’umanità misera e insieme comune, quanto nella penna di Marta Cai. Traduttrice, con le parole ci ha sempre lavorato, e questo suo guardarle una per una, fino a quando non cominciano a brillare, è una lezione che ha portato anche nella sua scrittura.

Che è la tela di un ragno, vertiginosa e profonda, e che riesce ad avvolgere chi legge in una spirale di sensazioni ogni volta differenti. Spiazza, sorprende, chiede fiducia. E a concederla si fa solo bene: Cai sa flettere la lingua senza romperla, e lo fa con grande maestria. Con sapienza, muta e rimuta l’io narrante, passa dall’ironia più divertita alla disperazione più feroce, rende lirico il parlato e viceversa, fino a fare dell’ossobuco il cuore intenso della Creazione, senza che questo stoni neppure un po’.

Centomilioni fa ridere, riflettere, piangere, emozionare. Un po’ come la vita che c’è dietro. Sempre.

Non forzare il proprio destino, ecco cos'è che fa la differenza. Oppure no, dipende da cosa si vuole davvero, nel fondo del fondo dell'anima

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