Rimase seduto a guardare il denaro, poi richiuse la patta della cartella e abbassò la testa. Si vide passare davanti tutta la vita. Giorno dopo giorno dall’alba al tramonto fino alla morte. Tutta quanta, condensata in venti chili di carta dentro una borsa di cuoio
Da questo romanzo di Cormac McCarthy l’omonimo film dei fratelli Coen, presentato a Cannes, che ha ottenuto ben quattro Oscar: come miglior film, per la regia, come sceneggiatura (sempre firmata dai fratelli Coen) non originale e infine l'Oscar a Javier Bardem come attore non protagonista.
Nel Texas di oggi, lungo il confine con il Messico, si incrociano i destini di tre uomini. Uno di loro sta fuggendo con una borsa piena di soldi, gli altri due lo inseguono. Llewelyn Moss, un reduce del Vietnam, si è ritrovato sul luogo affollato di cadaveri di una battaglia fra narcotrafficanti e ha colto al volo un'occasione troppo grande per lui.
Ma è del romanzo che ora ci occupiamo, sottolineando come alcune battute della sceneggiatura del film siano tratte letteralmente dal libro:
– Sto per fare una cazzata grossa come una casa ma la voglio fare comunque. Se non torno di’ a mia madre che le voglio bene.
– Llewelyn, tua madre è morta.
– Allora glielo dico io...»
La storia è piuttosto semplice. Un cacciatore di antilopi, Llewelyn Moss, un reduce dal Vietnam, trova una borsa piena di soldi nel deserto al confine tra Texas e Messico, accanto a una jeep intorno alla quale giacciono alcuni cadaveri di uomini crivellati da proiettili. Sono trafficanti di droga e vittime di un passaggio di consegne andato male.
Quella opportunità e tutto quel denaro sono un richiamo a cui Llewelyn non può resistere: prende la borsa e inizia la sua avventura di uomo braccato. Sono in due a dargli la caccia, Anton Chigurh, un killer psicopatico, e lo sceriffo Bell.
Tutto il romanzo è percorso dalla fredda e spietata violenza omicida di Chigurh, dalle amare riflessioni dello sceriffo sulla sua vita e sull’oggi e sulla coscienza dell’insensatezza del suo gesto da parte di Moss.
Prendendo avvio da tanti miti americani, dalla figura del cowboy come è fissata nell’immaginario collettivo, trasmessa da tutta la tradizione del western e dai valori che lo sceriffo rivendica come fondanti ogni sua scelta durante la sua giovinezza, McCarthy, con la durezza dei dialoghi e un linguaggio scarno e implacabile, smonta tutto ciò e lo restituisce a brandelli al lettore.
Sono i fatti a mettere in luce la gratuità della violenza e a evidenziare che è impossibile sfuggire al proprio destino e che non c’è nessun cowboy buono che alla fine ucciderà quello cattivo: la semplificazione morale del western è finita per sempre.
Colpa della guerra? Di quel maledetto Vietnam che ha frantumato le certezze di tanta America? Non è così: «Tanti dei ragazzi che sono tornati hanno ancora problemi. Prima pensavo che era perché non avevano il sostegno di tutto il paese. Ma adesso penso che forse è ancora peggio. Il fatto è che il paese era a pezzi. E lo è ancora. Non era colpa degli hippy E non era neanche colpa di quei ragazzi che venivano mandati laggiù».
Le pagine in corsivo che attraversano il libro, momento di riflessione interiore dello sceriffo Bell, rappresentante di una generazione disillusa e fuori tempo, sono quelle che, togliendo al personaggio l’ingenuità che lo contraddistingue, meglio descrivono il messaggio che il solitario Cormac McCarthy invia ai suoi lettori: «Forse sono arrivato a capire meglio il mondo, ma ho pagato un prezzo. Un prezzo piuttosto salato, oltretutto».
Da quanto detto appare abbastanza chiaro il perché i fratelli Coen abbiano scelto questo libro per farne un film: quale miglior canovaccio di questo per reinterpretare, o stravolgere, un genere classico del cinema hollywoodiano?
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