Scelti per voi

Le sette lune di Maali Almeida di Shehan Karunatilaka

Lo stesso posto in cui va la fiamma quando la spegni, o una parola quando la dici

La prima cosa che lascia storditi, meravigliati e che fa dire «questa è roba forte» quando si legge questo libro – oltre allo stile, si capisce: l’hanno paragonato a tutti i più grandi, da Rushdie a Chandler a García Márquez – è che c’è qualcuno che si rivolge a te. Sì, c’è un io che si rivolge a un tu, che, detto altrimenti, è un’allocuzione. Siamo abituati a leggere i libri in terza persona, in prima al massimo, e la seconda?

Questo ci ricorda una lettera, o il racconto che facciamo ai nostri amici che si sono ubriacati la sera prima e non sanno più cos’hanno combinato. Nelle Sette lune di Maali Almeida, Karunatilaka mette entrambe le cose (anche la storia dell’ubriaco, più o meno): scrive una lunga lettera che somiglia a un romanzo e allo stesso tempo cerca di far ricordare a qualcuno cos’è successo la sera prima. E il risultato è un libro stupefacente che può ricordarci il realismo magico, il giallo, il romance, il romanzo epistolare ma che, in fin dei conti, è qualcosa di mai visto prima.

Le sette lune di Maali Almeida
Le sette lune di Maali Almeida Di Shehan Karunatilaka;

Il commovente racconto di un amore proibito, l’avvincente indagine su un omicidio misterioso, l’appassionante epopea di un paese in crisi: Le sette lune di Maali Almeida, che ha vinto il prestigioso Booker Prize proiettando l’autore nell’olimpo della letteratura mondiale.

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La Luce ti fa dimenticare. Noi non dovremmo mai dimenticare

Cominciamo con il dire che Le sette lune di Maali Almeida è un romanzo ambientato nell’aldilà. Il protagonista, Maali, proprio lui, è morto, ma non sa come – ha con sé (e ci sarebbe da riflettere su questo “con sé”) un solo sandalo e la sua macchina fotografia. È un reporter, o era, ma adesso il suo obbiettivo è rotto e impolverato e sembra che non riesca più a scattare. Nell’aldilà in cui si ritrova così conciato, senza ricordi del trapasso, ha sette lune per raggiungere la Luce, che poi è la pace, che poi è l’unico modo per riposare per l’eternità senza dolore.

Maali, però, vive in Sri Lanka e intorno a lui ha sempre visto – e fotografato – la guerra civile. Ha collezionato foto che «potrebbero far cadere i governi». E in questo paradiso in cui si trova ha due vie che può percorrere: l’una è farsi controllare le orecchie e raggiungere la Luce una volta e per sempre, e l’altra è cercare di capire com’è morto. La clausola è che, se le sette lune scadono e lui non ha ancora raggiunto la Luce, sarà costretto a vivere come uno spettro nel Mezzo. Il nostro mondo, per così dire, ma senza poterci agire dentro.

E perfino quando eri ancora poco più di un feto, appena uscito dal liquido amniotico, sapevi già quello che il Buddha ha scoperto stando seduto sotto gli alberi. È meglio non rinascere

È vero, sembra l’inizio di un romanzo fantasy. E forse è così, ma non perché si parla di un aldilà che potrebbe non esistere, quanto perché si cerca di costruire una vera e propria utopia. Un’ipotesi quasi kantiana che vede nella vita dopo la morte la possibilità della giustizia, ma una giustizia che non è mai reale, né garantita: l’unico modo per realizzarla è quella di dimenticarsi del torto. Oppure di vendicarsi.

C’è anche un mostro che divora le anime che stanno nel Mezzo e non hanno raggiunto la Luce. Anche qui, questi vagabondi cercano la verità sulla loro morte, sui loro assassini, e cercano di porvi rimedio vendicandosi, come i fantasmi che sono, ma vivono – esistono? – nel terrore di essere braccati e nel rimpianto di non aver scelto l’altrove. Il viaggio di Maali sta lì, in quelle sette lune che determineranno la sua eternità, il suo oblio e la sua vendetta. Seguirlo e sperare che faccia la scelta giusta è tutto ciò che a noi lettori è concesso fare, come i bravi fantasmi che siamo.

È cominciata tantissimo tempo fa, mille secoli fa, ma saltiamoli tutti e iniziamo da giovedì scorso

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