Il 23 maggio 1992, sull’autostrada A29, nei pressi di Capaci, il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro rimangono vittime di un attentato organizzato da Cosa Nostra; questa parte di storia, possiamo dire che è decisamente nota. Così come è nota la storia di Giovanni Falcone, perlomeno nei suoi eventi principali: l’impegno in prima linea nel pool antimafia, la collaborazione con Buscetta, il Maxiprocesso, l’amicizia con i colleghi che via via venivano assassinati, e poi l’isolamento, i media che lo accusavano di protagonismo, gli ambienti della magistratura ostili al suo operato.
È il coraggio, quello che sorregge l'ingegno e l'intraprendenza, che sopperisce ai mezzi spesso insufficienti: il coraggio che scorre in Giovanni Falcone, negli uomini e nelle donne che insieme a lui sono pronti a lanciarsi in una battaglia furiosa dove la vita vale il prezzo di una pallottola. La storia di un magistrato che insieme a pochi altri intuisce la complessità di un'organizzazione criminale pervasiva, ne segue le piste finanziarie, ne penetra la psicologia e ne scardina la proverbiale omertà, è narrata in queste pagine con l'essenzialità di un dramma antico: sul proscenio, un uomo determinato a ottenere giustizia, assediato dai presagi più cupi, circondato dal coro dei colleghi che prima di lui sono caduti sotto il fuoco mafioso.
A trent’anni dalla morte del magistrato, quello che Saviano vuole narrare in Solo è il coraggio, dunque, non è una cronaca degli eventi che tutti conoscono. Saviano vuole raccontarci Falcone uomo, non un eroe, non un martire, non il simbolo, quasi il fenomeno dell’antimafia che è diventato negli anni. Roberto Saviano vuole andare più nel profondo, negli eventi quotidiani della vita di uomo che aveva paura, dubbi, difficoltà e tormento, ma che al contempo resisteva, in nome di un ideale che lo animava. Giovanni Falcone è un uomo che ha fatto delle scelte, scelte molto difficili, e che le ha portate avanti con coraggio. Non è l’unico: in questo libro non c’è solo Falcone. Ci sono Cesare Terranova, Rocco Chinnici, Gaetano Costa (un uomo “di cui si poteva comprare solo la morte”), Boris Giuliano, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, l’agente Ninni Cassarà, Paolo Borsellino e molti, moltissimi altri che hanno lavorato conoscendo il prezzo delle loro idee e azioni, uomini che spesso questo prezzo l’hanno pagato. Sono tutti pilastri fondamentali nella storia di Falcone, che ben ne riconosceva l’importanza; difatti, lavorare contro la mafia è come una staffetta, dove “ognuno fa un po’ di strada, passa le carte al prossimo e se ne va al Creatore”. E di questo erano tutti consapevoli: Rocco Chinnici, per esempio, indiceva una riunione del pool tutte le settimane, per far sì che lo stato delle indagini di ciascuno venisse condiviso con gli altri. Lo faceva per un motivo preciso: evitare che, alla morte di uno dei componenti, i risultati raggiunti venissero smarriti. Era ed è una vera e propria guerra, quella contro con la mafia.
Al momento di accettare un posto di lavoro, c’è chi fa il calcolo dei chilometri fra la casa e l’ufficio, e chi il calcolo dei morti che l’hanno preceduto. Su alcune poltrone si siede solo chi è abbastanza paziente e scrupoloso da scostare tutti i cadaveri che vi si sono accasciati prima di lui
Attraverso la suddivisione in brevi capitoli, Saviano ripercorre e tesse il filo degli avvenimenti: ogni capitolo è corredato da una nutrita dose di fonti ufficiali e testimonianze, che rendono la ricostruzione, seppur romanzata, altamente fedele. Leggendo, ci si ritrova immersi nel clima di quegli anni. Seguiamo le vicende dei legami tra le famiglie criminali, i rapporti oltreoceano, le piste finanziarie, i prestanome, gli alleati, i nemici, gli omicidi, i legami con la politica, i riti, la psicologia, la legge mafiosa: tutto questo viene, documento dopo documento, informatore dopo informatore, indagine dopo indagine, portato alla luce da Falcone e dagli uomini intorno a lui.
Questo è infatti, forse, il più grande risultato raggiunto da Falcone: aver dimostrato che la mafia esiste ed è un sistema altamente organizzato. Prima si riteneva che la mafia fosse “un’accozzaglia di cellule slegate fra loro”, ora sappiamo che non è così, che la mafia è un sistema imprenditoriale e criminale, verticistico e ben collegato. E anche che la mafia ha un nome: Cosa Nostra. Grazie alla collaborazione di Buscetta e Contorno e al lavoro investigativo di tutti quegli uomini, vivi e morti, nel 1985 si giunge all’apertura del Maxiprocesso, un enorme evento giudiziario con 475 imputati. Falcone e coloro che con lui hanno lavorato nella lotta alla mafia sono riusciti a strapparla, almeno in parte, all’omertà e alla segretezza che la caratterizzava.
In Solo il coraggio non c’è però solo Giovanni Falcone magistrato, c’è anche l’uomo, il marito, l’amico, il fratello. C’è la vita a Trapani con la prima moglie Rita, che lo lascia per Cristoforo Genna, provocandone il trasferimento a Palermo. C’è l’incontro con Francesca Morvillo che decide, consapevole delle ombre all’orizzonte, di rimanergli accanto, anche quando lui vorrebbe sollevarla da tutto quel peso che si porta sulle spalle. Ci sono i colleghi che diventano amici, su tutti Rocco Chinnici, Antonino Caponnetto e Paolo Borsellino, ma c’è anche la difficoltà della vita sotto scorta, l’insofferenza dei vicini di casa che si lamentano del rumore delle sirene spiegate quando va e torna, le persone che se ne vanno dal ristorante quando lui arriva, la solitudine sua, di Francesca e della famiglia Borsellino all’Asinara (per il cui soggiorno obbligato gli verrà anche presentato un conto), l’invidia di coloro che lo definiscono un accentratore, le luci puntate dei media che tentano di infangarlo (come quando, per esempio, insinuano che Falcone si sia piazzato da solo il pacco bomba all’Addaura), le minacce di morte ricevute dalla mafia. È una vita tormentata, quella del giudice Falcone, la vita di un uomo spesso messo all’angolo, minacciato, non sostenuto, malvisto anche da molti colleghi che, per citare una vicenda su tutte, alla direzione dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo gli preferirono Antonino Meli. È anche una vita segnata dal dolore, per le numerose persone che fanno un tratto di strada con lui per poi abbandonarlo per sempre: è un dolore per loro e per sé stesso, conscio che ad attenderlo non c’è una fine diversa:
Ora Giovanni si rende conto che perfino il dolore non è quello che dovrebbe essere. Perfino le ferite non sono più vere ferite, profonde, sanguinanti, che squarciano la pelle e che poi, però, un poco alla volta si rimarginano. Sono piuttosto piccole e fastidiose piaghe purulente appena sotto la pelle, lesioni non mortali ma che durano e si perpetuano per l’eternità
È anche la vita, però, di un uomo con un ideale preciso, un uomo che resiste a oltranza, un uomo che incarna, anche dal punto di vista del “boss dei due mondi” Tommaso Buscetta, la forza tranquilla della giustizia. Un uomo che non fa quel che fa per il successo, i soldi, la popolarità: non si rischia la vita per tutto questo. Un uomo che va avanti perché crede nella necessità del suo lavoro. Un uomo che, al culmine della carriera, sarà anche al culmine della solitudine, dell’isolamento: perché solo è il coraggio.
Per me l'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, ma è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo. Altrimenti perde il suo significato e diventa incoscienza
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