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The Car degli Arctic Monkeys

Dopo poco più di quattro anni, gli Arctic Monkeys sono tornati con The Car, il loro settimo album, che contiene dieci nuove canzoni molto distanti – non per una questione temporale – dagli impetuosi esordi della band, formatasi a Sheffield nel 2002. Una certa continuità si può trovare con il disco precedente, Tranquility Base Hotel & Casino (2018), definito efficacemente «anti-rock celestiale» da “Stereogum” – l’autorevole magazine statunitense nato come blog, caso vuole, sempre nel 2002. E già i primi tre singoli che hanno anticipato l’uscita del discoThere’d Better Be a Mirrorball, Body Paint e I Ain’t Quite Where I Think I Am –, pubblicati tra la fine di agosto e la metà di ottobre, avevano dato delle indicazioni in questo senso.

The Car
The Car Di Arctic Monkeys

Un disco nuovo e lontano dagli standard della band, con sonorità raffinate e calde: gli Arctic Monkeys esplorano musicalità inedite e originali in questo ultimo LP.

Insomma, nonostante il titolo possa ingannare e magari far pensare a una musica più “muscolosa”, chi ha amato i primi dischi della band inglese deve mettersi l’animo in pace e prendere atto che il pianoforte è diventato più importante delle chitarre (che comunque non mancano e in alcuni passaggi si fanno notare). In The Car, inoltre, sono rilevanti anche gli archi perché si tratta di un album di pop orchestrale che punta sulla raffinatezza e su sonorità calde che mettono in risalto l’approccio vocale da crooner di Alex Turner. Per intenderci: anche quando gli altri membri della band, con la complicità dei vari ospiti, producono “sconfinamenti” in territori funk (come accade in I Ain’t Quite Where I Think I Am) i brani non guardano ai dancefloor ma mantengono un’eleganza esigente.

 

Il frontman, classe 1986, sembra trovarsi sempre di più a suo agio nel ruolo di crooner, canta utilizzando spesso il falsetto e, in generale, nonostante ci fosse un po' di scetticismo sulle sue possibilità di perfezionamento, dimostra di saper infondere vari umori alla voce che, non adagiandosi sulle produzioni musicali, diventa in più passaggi la protagonista del disco. Turner ha anche scritto tutti i brani e non è un caso se, in alcuni momenti, ci si possa ritrovare a chiedersi se The Car vada considerato il disco di un cantautore o di una band. La questione, però, è più complessa. La “rivincita” al resto della band viene servita dai testi enigmatici che, non creando un filo conduttore, lasciano spazio alle atmosfere sonore: sono anche le sensazioni create da queste, alla fine, a dare il carattere al disco. Ma lasciando da parte questo supposto dualismo, ci si rende presto conto che il disco è frutto di una maturazione che non può che riguardare tutti gli elementi della band: fa impressione la loro capacità di passare, in poco più di quindici anni, da una miscela in bilico tra post-punk e indie-rock (con tutte le sfumature del caso) a questo impasto sonoro glamour, scegliendo anche di confrontarsi con vari musicisti, negli ultimi due dischi coinvolti per affinare l’eleganza delle canzoni. Ed è ancora più impressionante quando ci si accorge che The Car non suona come un esperimento velleitario ma come un’ulteriore evoluzione che lascia intatta la credibilità della band, piuttosto solida per quattro ragazzi che hanno passato da poco i 35 anni.

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