Tullio Pericoli, dopo averci raccontato il suo ultimo progetto editoriale Ritratti di ritratti, ci ha consigliato due letture molto diverse per stile e prospettiva che hanno lo stesso tema portante: la Grande Guerra.
Il primo titolo è Guerra di Louis-Ferdinand Céline, recentemente pubblicata in una nuova edizione tradotta da Ottavio Fatica che abbiamo intervistato (ascolta qui). Il testo è autobiografico e l’autore affida al protagonista il racconto di un’esperienza indelebile.
Siamo a Ypres, è il 1914 e il corazziere Ferdinand, seppur ferito, è vivo. Intorno a lui, tra le macerie e i cadaveri dei suoi compagni, sembra riecheggiare ancora il boato del bombardamento appena subito dalle truppe tedesche. Ferdinand, grazie all’aiuto di un soldato inglese, viene trasportato in ospedale e curato.
Sono propri i mesi tra il suo ferimento e la fuga a Londra a rappresentare il cuore pulsante della narrazione.
Ma se le lesioni corporee possono essere alleviate da bende, garze, medicine - e dal tempo -, c’è un altro tipo di ferita, più intima e profonda, che non si risana e che prende il controllo della mente di Ferdinand.
Tutto l’eccesso di violenza e distruzione della guerra l’ha intriso, come se fosse una sostanza vischiosa, ed espellerlo non è semplice.
Così il protagonista inizia una vita sregolata e spregiudicata, in cui il l’alcool e il sesso sembrano ovattare il dolore.
E la scrittura non può che ricalcare il ritratto del nuovo Ferdinand, che ha bisogno di parlare, di far sapere le atrocità vissute e di comunicarle così come meritano: con parole crude, direttamente attinte da un vocabolario che conosce solo i concetti di sporcizia, fetore e ripugnanza.
La cosa veramente sorprendente è come due scrittori possano affrontare questo tema, e viverlo personalmente, in maniera così differente
Guidati dalle parole di Tullio Pericoli, ci focalizziamo sulla sua seconda lettura.
Giornale di guerra e prigionia di Carlo Emilio Gadda, recentemente pubblicato in una nuova edizione con materiali inediti che ci ha raccontato Giorgio Pinotti (intervistato da noi), è il testamento di un cambio di prospettiva, condito da un’irriverenza che non può essere definitiva altrimenti se non gaddiana.
Un accanito sostenitore della guerra e della sua inevitabilità si scontra con le sue stesse convinzioni.
Giornale di guerra e di prigionia è un vero e proprio diario che Gadda, sottotenente alpino del 5° reggimento, scrive tra il 24 agosto 1915 e il 31 dicembre 1919 raccontando non solo i suoi spostamenti – da Edolo a Hannover passando per diversi luoghi – ma anche una nuova visione della guerra, non più disincanta ma vissuta, con occhi che oramai la vedono per quella che è: un ammasso di cadaveri e macerie.
Gadda (lo ricordiamo in questo approfondimento) ci fa vivere in presa diretta la sua cattura dell’ottobre 1917 e il conseguente trasferimento nei campi di concentramento di Rastatt e a Celle. Qui sente di aver perso tutte le speranze e di essere totalmente disorientato, così come la realtà che lo circonda sembra non conoscere nessun ordine, ma solo caos.
Nell’inferno in cui è immerso, però, c’è qualcosa che riesce a tenerlo a galla, un’ironia sottile ma tagliente che riesce a limare in parte la crudeltà che vive sulla sua pelle.
E sembra volerci dire che finchè c’è la possibilità di raccontare c’è ancora qualche speranza di sopravvivere anche nel buio più cupo.
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Scopri tutti gli articoli di Maremosso dedicati ai due libri consigliati da Tullio Pericoli.
La recensione di Guerra
L'intervista a Ottavio Fatica, traduttore di Guerra
La recensione di Giornale di guerra e di prigionia
L'intervista a Giorgio Pinotti sul Giornale di guerra e di prigionia
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