Torna in libreria Ernest Cunningham, uno dei detective più improbabili e allo stesso tempo irresistibili degli ultimi anni, nato dalla penna del comico Benjamin Stevenson. Lo abbiamo conosciuto in Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno, un bestseller in oltre venti paesi di cui potete leggere la nostra recensione qui, di cui HBO ha acquistato i diritti per una serie tv; lo ritroviamo in una nuova avventura altrettanto coinvolgente e spassosa, Tutti su questo treno sono sospetti, tradotta da Elena Cantoni per Feltrinelli. Un romanzo che riparte dal precedente, per quanto leggibile separatamente.
Ernest Cunningham è nei guai. Dopo essere diventato famoso per aver scritto un true crime sulla sua famiglia – una famiglia micidiale: hanno tutti ucciso qualcuno –, il suo agente letterario e il suo editore gli chiedono con insistenza un nuovo libro. Ma dove trovare l’ispirazione, senza che qualcuno ci rimetta la pelle?
Finito sotto i riflettori grazie all’opera in cui ha raccontato i crimini di famiglia in un resort di montagna, Ern è ormai un autore a tutti gli effetti e viene invitato al prestigioso Festival del Giallo sul Ghan, il treno che percorre l’Australia, insieme ad altri noti rappresentanti del genere. È in crisi perché di continuo incalzato dal suo agente a consegnare un nuovo manoscritto, ma gli manca l’ispirazione giusta: a fornirgli l’incipit di una storia è la morte improvvisa dell’ospite d’onore dell’evento, lo scozzese Henry McTavish.
Ebbene sì, mi sono rimesso a scrivere. Una buona notizia, presumo, per quelli che speravano in un secondo libro. Meno per chi ha dovuto morire per fornirmi una trama
L’ironica voce di Cunningham si prende gioco delle celebri regole sui polizieschi di S. S. Van Dine nella costruzione dell’intreccio, dalle vicende antecedenti agli omicidi fino allo scioglimento. Ne risulta una struttura metanarrativa in cui il protagonista/scrittore interviene dal principio per rassicurare sulla veridicità dei fatti, nonostante il suo punto di vista si faccia via via più inaffidabile e diventi compito nostro sistemare le tessere del puzzle. Impossibile seguire norme precise, d’altronde, quando le bizzarrie della vita ci si mettono di mezzo.
Non è chi scrive a decidere della storia: è chi legge. Le parole su una pagina non sono definitive finché non arriva un lettore
Al fianco di Ern c’è Juliette, partner sagace e assennata, e da lontano lo zio Andy, più distratto e sopra le righe che mai. Al cuore della trama, questa volta, i meccanismi del mondo dell’editoria – spesso torbidi e condizionati da pettegolezzi – svelati gradualmente dallo sguardo inesperto di Ern, entrato a farne parte suo malgrado. Rimane invischiato in una spirale di gelosie e rancori legati a torti mai chiariti.
Rendendo il personaggio principale un vero e proprio outsider, Stevenson indaga con abilità anche le dinamiche della sindrome dell’impostore: Ern si sente fuori posto non solo perché circondato da colleghi più navigati di lui, ma soprattutto in quanto sopravvissuto alla strage di famiglia. Per questo lo assale la necessità di dimostrare a sé stesso di essersi meritato la salvezza, oltre che uno spazio in un ambiente tanto elitario. Arrivare alla soluzione del caso, allora, è fondamentale per evitare il ripetersi del passato e per ricominciare a scrivere.
A quel festival c’erano cinque persone che lottavano per dare prova del proprio talento. Ma se anche potrà sembrare che pure io fossi spinto dalla stessa vanità, in realtà stavo cercando di dimostrare qualcos’altro: che qualunque fato avesse deciso che parte della mia famiglia dovesse morire e io restare vivo non aveva commesso un errore
Stevenson conferma la sua vocazione nell’unire giallo e commedia, sulla scia di Richard Osman, attraverso una prosa e delle personalità capaci di intrigare capitolo dopo capitolo.
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