Pittrici, pensatrici, fotografe, scultrici, grandi donne d’arte incomprese e vittime di un destino a volte spietato. Queste sono le protagoniste di Un’ultima cosa, l’ultimo libro di Concita De Gregorio, che illumina alcune figure femminili del Novecento lasciate nell’ombra, perché poco considerate o, purtroppo, dimenticante.
Storie di donne: quelle che Concita De Gregorio ha conosciuto da bambina, da adolescente, e nella vita. Quelle che la storia sta dimenticando, perché sopra le righe, geniali, talvolta ribelli. Quelle per cui il mondo non è ancora pronto: in questo libro risuonano le loro voci.
Nel libro, edito da Feltrinelli, la giornalista descrive brevemente la storia delle varie protagoniste, per poi dar loro voce facendone emergere il punto di vista e la grande forza, ma allo stesso tempo la fragilità e la sensibilità.
Olga Carolina, Silvia Ocampo, Lisetta Carmi, Vivian Maier, Lorenza Mazzetti, Dora Maar sono alcune delle donne di cui De Gregorio racconta la vita: della loro ricerca di colori, del modo in cui hanno cercato di affermarsi, di sopravvivere e di imporsi nel mondo, nonostante gli incontri più sfortunati e le storie difficili e sofferenti.
Essere state messe al bando. Escluse. Non volute, non “tenute con sé” da chi amavano. Essere arrivate troppo presto, troppo tardi, che peccato. Aver detto troppo, e incomprensibilmente. Quindi ridotte al silenzio, denigrate. Aver dato in eccesso. Erba cattiva nel giardino buono, inopportune rispetto al decoro: perciò, da estirpare. Fonte di eresia, dunque di desiderio e di colpa. Il desiderio è la colpa
Concita De Gregorio fa breccia nell’animo umano, scava nell’interiorità femminile mostrandone la sofferenza, ma anche la tenacia. Nell’arco della propria vita, ognuna delle protagoniste ha dovuto scorgere un modo di combattere il destino, di trovare un palliativo al male del mondo o al manicomio; ha ricercato nell’arte la cura alle ferite lasciate dalle tragedie famigliari, da atterraggi di fortuna o dalle attenzioni di un pittore famoso.
Queste coraggiose protagoniste hanno combattuto i pregiudizi con la poesia e con la pittura: credute folli, rinchiuse in sanatori, allontanate perché sessualmente libere, perché non schiave di una società che ne ricercava l’oppressione, hanno fatto dell’arte la loro salvezza, realizzando opere a dir poco straordinarie:
Soffriamo tutti di una malattia di cui cerchiamo la cura. La mia cura è la pittura.
Dipingo innanzitutto per guarire me stessa.
A volte, di rado, anche le persone che osservano – se sono
sulla stessa lunghezza d’onda, per caso – possono guarire
In questo ritratto vero, delicato e commovente, le parole delle protagoniste risuonano sicure, mentre ci raccontano di come il mondo non fosse ancora pronto ad accogliere delle donne così sovversive, inusuali e geniali.
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