Cos’è più inquietante dell’ordinario? Nulla, risponde Shirley Jackson. L’autrice gode della meravigliosa capacità di parlarci del quotidiano, delle relazioni interpersonali, del senso di comunità - che negli Stati Uniti ha fondato un vero e proprio spirito nazionale - e lo fa sottoponendo al lettore situazioni narrative immediate, nelle quali è molto facile riconoscersi e, anche quando queste si nutrono di aspetti sovrannaturali o magici, ciò che colpisce il lettore è la cruda (per non dire crudele) umanità dei suoi personaggi.
Nessuno meglio di Shirley Jackson conosce «il male incontrollato» che si cela sotto la più linda e ordinata delle superfici. E solo lei sa mescolare assurdo, comico e spaventevole - avvelenata mistura -, portandoli alle estreme conseguenze con un'economia del dettato e un'acutezza del dettaglio del tutto inconfondibili.
Un giorno come un altro, per l’appunto, è il nuovo titolo della scrittrice americana che Adelphi porta in libreria dal 29 novembre; si tratta di una raccolta di racconti che ben riproduce l’andamento di una vita normale, piccoli frammenti che messi insieme vanno a comporre un affresco delle più profonde contraddizioni alla base degli individui che popolano la sfaccettata società americana degli anni Cinquanta. La dimensione narrativa del racconto breve è un perfetto contraltare allo stile diretto di Shirley Jackson, apprezzata e conosciuta per i suoi romanzi quali L’incubo di Hill House, La lotteria e Abbiamo sempre vissuto nel castello.
Nella forma condensata della raccolta riesce a portare in scena in maniera delicata e profonda gli aspetti più perturbanti delle relazioni col mondo che ci circonda: dal buon vicinato, alla gentilezza verso il prossimo, alle cure per un familiare che sta soffrendo, tutto ha un lato oscuro, inquietante, che viene a galla nonostante la facciata, e ogni volta, benché atteso, stupisce e turba noi lettori che ci riconosciamo nei ricami delle piccole o enormi crudeltà che permeano Un giorno come un altro.
Come la situazione sia precipitata nella furia cieca che esplose tra quei due è un enigma, senza considerare che, quando tra due persone cominciano a nascere dei malintesi, tutto contribuisce poi ad alimentare ulteriormente le incomprensioni
Parte del merito della riuscita di questo volume è indubbiamente da attribuire alla traduzione di Simona Vinci che ha saputo ricostruire lo stile di Jackson a cavallo tra la fiaba à la Grimm, per la semplicità apparente delle vicende, e una rappresentazione, stereotipata solo in superficie, dei personaggi che invece lasciano trasparire una profonda indagine psicologica e sociale che è tra le tematiche principali del volume. Anticipazioni misteriose inserite nel testo instaurano il rapporto dell’autrice col lettore, fatto di una intimità speciale, in un racconto con un mittente e un destinatario che si specificano proprio in funzione di questa relazione confidenziale. Al genere horror si affianca infatti il ritratto di un’umanità complessa e tutt’altro che banalizzata, incapace forse di fare i conti col male che le appartiene e con l’impossibilità di ammettere che, a fronte di una prescritta dirittura morale, è inevitabile dimenticare che siamo fatti di carne e spesso nutriamo anche sentimenti negativi. Il quotidiano è il più grande dei tormenti che ci portiamo dietro, la prospettiva di valutazione degli eventi dipende solo dall’atteggiamento con cui ciascuno si inserisce in un meccanismo di relazione con gli altri. Jackson mette in evidenza non tanto l’idea che a buone azioni corrispondano altre buone azioni e viceversa, ma che l’essere umano sociale ha il potere di scegliere la prospettiva morale della sua relazione col prossimo.
«Non cercare mai di assomigliare agli altri, mia cara» disse placida la bisnonna. «Essere come gli altri non paga. Ti ho mai raccontato che sono stata la prima donna – la prima signora, anzi – a fumare una sigaretta a San Francisco?».
L’elemento magico è la risposta che Shirley Jackson trova alla spietatezza dei suoi racconti, e, lontano dalle aspettative del canone, è un sovrannaturale perfettamente inserito nella quotidianità. Anzi, è del tutto organico rispetto al funzionamento della società, un diverso che non turba gli equilibri in maniera diretta, ma che proprio per la sua natura straordinaria si fa oggetto dell’avversione dei cosiddetti normali. È impossibile non ritrovare in alcuni di questi personaggi delle Mary Poppins alternative, che in questo caso non hanno il compito di riportare la calma e la serenità nelle case dei protagonisti, o almeno non sempre, ma che assomigliano al celebre personaggio e, come la tata che abbiamo sempre sognato nelle nostre infanzie, riempiono di magia le vite degli altri, e per questo si trasformano in entità degne di sospetto e vendetta.
Il ruolo del caso, infine, fa da eco a quello della magia: interviene per rendere le esperienze più banali episodi sinistri e significativi nel medesimo tempo, come se i personaggi fossero condannati dall’incongruenza della volontà, ma anche da un’ironia che la sorte porta in maniera inevitabile con sé. L’inquietudine si fa spazio nell’abitudine pervadendo tutti gli aspetti della vita, volontari e non, mostrandoci che non siamo altro che fantocci nel flusso delle cose.
Tutti cercammo di farle cambiare idea, ma invano. Così alla fine le chiesi: «Tornerai a trovarci, qualche volta?» e lei rispose: «Solo se avrete bisogno di me». Poi strizzò l’occhio come faceva sempre e disse: «Ma avrete mie notizie, prima o poi».
Non rimane quindi che lasciarsi accompagnare da questa moltitudine di personaggi tutti diversi e allo stesso tempo umani, sbagliati e profondi, alla ricerca della consolazione che giustifica anche i nostri aspetti meno nobili. Nel panorama variegato di scene domestiche che Shirley Jackson tratteggia ci troveremo di fronte all’imponente possibilità di essere anche sbagliati, ma pur sempre con la complicità della magia e della fantasia a proteggere le nostre pulsioni più remote.
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