Il paesaggio è al centro dell’universo poetico costruito da Andrea Zanzotto (1921 – 2011) nel corso di una vicenda letteraria che si è dipanata lungo tutto il Novecento e che ha portato la critica a definirlo “poeta più cospicuo della quarta generazione” e “poeta ctonio”. Un corpus poetico che ha attraversato il “secolo breve” come un carso, seguendone le asperità e diluendone il dramma in un poetare che è a un tempo feriale e profondissimo, intimo e universale.
Quest’anno viene celebrato il centenario della nascita del poeta, nato il 10 ottobre del 1921 a Pieve di Soligo, e proprio nel paese natio, luogo ideale e d’ispirazione per i versi “ecologici” zanzottiani, è stata istituita “Zanzotto 100. La poesia dalla A alla Z”, manifestazione culturale che ha visto, dal 3 al 6 giugno, il susseguirsi di interessanti incontri su una delle figure letterarie di riferimento del secondo Novecento e la partecipazione di artisti e poeti, tra cui Franco Arminio, cantore della paesologia.
Di
| Carocci, 2014Di
| Il Saggiatore, 2015Di
| Fandango Libri, 2007Di
| Quodlibet, 2011Di
| Pacini Editore, 2017Andrea Zanzotto esordì nel 1951 con la raccolta poetica Dietro il paesaggio (Mondadori), per poi dedicarsi a esperimenti lirici di notevole rilievo con la pubblicazione di Vocativo (1957) e La beltà (1968), che ne ha affermato la centralità nel panorama poetico a lui contemporaneo. Di inesauribile interesse all’interno della sua opera, inoltre, sono i riflessi che investono il linguaggio e, in particolare, la poesia dialettale: quel rustico dialetto patrio, il “veneto comune” che ritroviamo, per esempio, in Filò (1976). Un’antologia della sua lirica (e parte dell’opera in prosa) è compresa nel Meridiano Le poesie e prose scelte (1999). Zanzotto fu anche autore di racconti (Sull’altopiano), di traduzioni – dai classici alla poesia francese del Novecento - e di acuti scritti critici, specialmente sui suoi contemporanei, tra cui Ungaretti, Montale e Sereni. Nerbo della sua ricerca poetica, l’essenza profonda del paesaggio viene espressa dai versi giovanili fino alla sua ultima raccolta, Conglomerati, del 2009.
da Dietro il paesaggio
Nel mio paese
Leggeri ormai sono i sogni,
da tutti amato
con essi io sto nel mio paese,
mi sento goloso di zucchero;
al di là della piazza e della salvia rossa
si ripara la pioggia
si sciolgono i rumori
ed il ridevole cordoglio
per cui temesti con tanta fantasia
questo errore del giorno
e il suo nero d'innocuo serpente
Del mio ritorno scintillano i vetri
ed i pomi di casa mia,
le colline sono per prime
al traguardo madido dei cieli,
tutta l'acqua d'oro è nel secchio
tutta la sabbia nel cortile
e fanno rime con le colline
Di porta in porta si grida all'amore
nella dolce devastazione
e il sole limpido sta chino
su un'altra pagina del vento.
Climi azzurri, il lume innocuo del sole, una formica che ha consumato il gusto mutato di una ciliegia e laghi dallo stupore di goccia: emerge, così, autentica e potente, la sensibilità ecologica di Andrea Zanzotto, quello sguardo attento a ciò che vi è dentro il paesaggio che lo ha riconosciuto come consapevolissimo e audace difensore di un ambiente “trafitto dal futuro”.
La riflessione sulla folle invadenza dell’uomo e dell’economia sulla natura è disposta entro una percezione integrale del mondo e della natura stessa: quest’ultima si lega indissolubilmente alla poesia, in una ricognizione che mai si abbandona a un cupo e mero catastrofismo ma è tutta protesa a recuperare il prezioso dialogo tra l’“io” e la beltà del paesaggio, in un’adesione alla natura densa di richiami culturali.
Riallacciandosi al dialogo ininterrotto con Leopardi e Hölderlin, sue principali stelle polari, Andrea Zanzotto attua un’identificazione tra io, linguaggio e paesaggio stesso.
La Terra muore perché il linguaggio è sfinito, la natura sbanda perché non c’è cura nel dirla, siamo analfabeti oltre la miseria verbale delle nostre sature voglie.
Dalla ricerca di un’identità impotente e assente, nascosta “dietro” il paesaggio e i segni letterari, ci conduce, con lucida e avvertita sensibilità, attraverso gli aspetti e le suggestioni di una natura che cinge e avvolge, fino alle sfide future.
Ed è il paesaggio l’unica dimensione che fa da rifugio all’esistenza stessa e alla poesia, cui spetta l’impegno di riconsolidare la caduca interconnessione tra uomo e ambiente: quella parola poetica che “sembra divagare e intorbidare, ma infine dilucida quanto v’è di più aggrumato nella storia.”
da La beltà
Al mondo
Mondo, sii, e buono;
esisti buonamente,
fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,
ed ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva
non meno che ogni esclusione;
su bravo, esisti,
non accartocciarti in te stesso in me stesso.
Io pensavo che il mondo così concepito
con questo super-cadere super-morire
il mondo così fatturato
fosse soltanto un io male sbozzolato
fossi io indigesto male fantasticante
male fantasticato mal pagato
e non tu, bello, non tu «santo» e «santificato»
un po’ più in là, da lato, da lato.
Fa’ di (ex-de-ob etc.)-sistere
e oltre tutte le preposizioni note e ignote,
abbi qualche chance,
fa’ buonamente un po’;
il congegno abbia gioco.
Su, bello, su.
Su, Münchhausen.
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