Questo è un altro modo per raggiungere la perfezione: scegliere quello che c’è di più bello e dargli nuova vita
L’aveva voluta cinque anni prima il colonnello John Campbell, un giovane rampollo della piccola nobiltà scozzese, che si era trovato in Italia per il tradizionale Grand Tour. Era rimasto, com’è naturale, sbalordito dalla ricchezza artistica italiana, e colpito da un suo coetaneo che scolpiva il marmo come fosse burro: Antonio Canova. Campbell era un proprietario terriero, possedeva delle cave minerarie ed era, soprattutto, un collezionista di opere d’arte. Perciò chiese allo scultore una rappresentazione di «Amore e Psiche che si abbracciano: momento di azione cavato dalla favola dell’Asino d’oro di Apuleio». E così venne fuori una delle opere più famose al mondo, oggi conservata al Louvre, a cui Canova dedicò tutta la sua arte e la sua tecnica.
Le braccia e le gambe avvoltolate le une sulle altre, la posa in equilibrio, la luce che scivola sui due amanti: una delle prime cose che si dice quando si guarda Amore e Psiche è «ma quello è marmo: come si fa a modellarlo così?» Per Canova, la pietra – di qualsiasi tipo – non fu mai qualcosa di invincibile. Da piccolissimo, appena quattro anni, fu mandato a vivere dal nonno, un vecchio e rinomato scultore di Possagno, perché il padre gli era morto. Questo parente semisconosciuto, Pasino si chiamava, era come la pietra che lavorava: duro, severo e inamovibile. Ma, come dalla pietra, anche da lui Antonio imparò a cavare qualcosa di buono, e si fece insegnare a scolpire, dapprima lapidi, poi sculture vere e proprie.
Possedeva un talento innato, tanto che, mentre aiutava il nonno a villa Falier, il senatore proprietario lo notò per le sue lavorazioni e volle portarlo con sé a Venezia. Qui fu invitato a una cena con l’élite politica della città: una lunga tavolata addobbata a festa dove sedevano aristocratici imparruccati e mercanti ricchi oltre ogni immaginazione.
Il giovane Antonio – allora neppure ventenne – fu presentato dal senatore Falier come uno su cui scommettere, in quanto ad arte, gusto e sensibilità. Un boriosissimo marchese, grasso e con il viso incipriato e sudato, le guance rosse per il vino, chiese al ragazzino cosa sapesse fare, davvero, oltre che vivere sulle spalle del suo protettore. Antonio non gli rispose neppure. Prese il portaburro d’argento dal centro della tavola e, con il coltello bisunto del marchese, iniziò a lavorare il panetto bianco. Dopo neppure dieci minuti, mentre intorno era calato il silenzio, Antonio aveva scolpito nel burro il leone di San Marco con le ali spiegate. Tutti lo applaudirono, con somma gioia di Falier, ancora più convinto del proprio investimento.
Nobile semplicità e quieta grandezza
Il neoclassicismo ebbe come suo teorico più importante Johann Joachim Winckelmann, e come suo miglior esponente, quantomeno per la scultura, Antonio Canova. Questa corrente artistica, architettonica e letteraria cercava di riprodurre la misura e l’armonia classica, attraverso l’equilibrio e la proporzione geometrica. Nella scultura e nell’architettura, poi, vi fu un’altra tendenza di cui Canova è il campione: la bellezza trovava la sua misura nel lucore del bianco. La carne di Psiche e le ali di Amore ci colpiscono perché sembrano ammorbidire la sostanza del marmo, ma il nostro occhio coglie l’eleganza del bianco in ogni lembo dell’opera. Così bianco che, nelle giornate di sole, al Louvre dov’è conservato, la luce che entra dalla finestra fa risplendere la statua al punto da donarle riflessi rosei e dorati.
Eppure le statue greche cui Canova voleva ispirarsi e di cui voleva imitare l’armonia e l’eleganza, in realtà, non erano bianche come si credeva. Anzi, tutt’altro: la statuaria greca era indubbiamente policroma, dai colori vari e sgargianti. Solo che i ritrovamenti ottocenteschi risultavano aver perso quel colore, e nessuno strumento era in grado di ricostruirlo. Quindi si pensò che la cifra dell’armonia greca fosse questo minimalismo cromatico: invece, oggi, siamo in grado di dire che fu messo in pratica, per la prima volta, proprio da Canova.
Con Amore e Psiche Canova divenne uno dei più apprezzati scultori d’Europa. La sua fama era tale e tanta che dovette cambiare bottega, perché davanti alla sua porta si ammassavano curiosi e ammiratori provenienti da ogni dove. John Campbell, suo malgrado, non poté portare in Scozia l’opera che aveva commissionato – stava attraversando una difficile crisi economica. Ma altri migliori offerenti non si fecero attendere. Fra loro, Nikolaj Jusupov, per conto dell’imperatrice Caterina di Russia, che voleva portare a San Pietroburgo il gruppo scultoreo. Canova declinò, ma per l’imperatrice ne fece una copia, oggi conservata all’Ermitage. Nel 1808, dopo un soggiorno presso Gioacchino Murat al palazzo di Compiègne, Amore e Psiche passò alla corona francese, e così fu affidato alle cure del Louvre.
Canova lavorò per Napoleone, Maria Teresa d’Austria, almeno due pontefici e una serie indefinita di committenti. Fu attivo a Parigi, Vienna, Roma, Venezia, ma gli ultimi giorni li volle trascorrere a Possagno, dov’era nato, e dove voleva assistere alla posa della prima pietra del Pantheon. Passò alla storia come il miglior interprete del neoclassicismo scultoreo, ma non solo: riuscì a incarnare appieno lo spirito paneuropeo, che, nell’Ottocento, aveva raggiunto il suo apice, lasciando una traccia in ogni città che lo accogliesse. Fu al servizio dell’Europa dei grandi imperi e dell’epoca della grande, candida bellezza.
Di
| La nave di Teseo O, 2022Di
| Rizzoli, 2022Di
| 24 Ore Cultura, 2019Di
| Giunti Editore, 2019Di
| TopiPittori, 2016Gli altri approfondimenti
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