Certe giornate verso la fine di agosto a casa sono così, l’aria sottile e pungente come questa, con qualcosa di mesto e nostalgico e familiare. L’uomo è la somma delle sue esperienze climatiche, diceva il babbo. L’uomo è la somma di tutto quello che vuoi
Intorno a casa Falkner – perché la famiglia, prima di William, si chiamava così – doveva esserci un gran prato, alberi sparpagliati qua e là e una nutrita quantità di specie animali, soprattutto volatili. Doveva anche fare un gran caldo, in estate, mentre gli inverni erano miti e placidi. In questo prato, una donna afroamericana stende su un lungo filo teso tra due magnolie le lenzuola e la biancheria della famiglia, sorridendo alle sbruffonate del cocchiere – anche lui di colore – seduto accanto al suo cavallo, all’ombra. Si sente, insieme al frinire delle cicale, un sottofondo continuo di voci infantili, che si sfidano a chi conosce più nomi delle piante del giardino, o si divertono a rincorrersi e basta tra l’erba ancora verde e la calura di agosto.
Sallie e William adorano ascoltare le storie della vecchia governante, e ancora di più adorano raccontarsele tra loro e interpretarle. Quel giorno, però, arriva qualcun altro a disturbare il loro gioco. Una donna e una bambina. William non ci fa caso: è un maschietto calmo, ma vive nel proprio mondo. Sallie, invece, va incontro alla bambina per invitarla a giocare, la rende edotta immediatamente sulle varietà di fiori che può cogliere e intrecciarsi nei capelli, e, da brava padrona di casa, la presenta a William. Al cugino dice che la nuova arrivata si chiama Estelle Oldham, ed è la figlia degli Oldham, che abitano qualche casa più in là. William deve averle baciato la mano, oppure dev’essere stato talmente affannato e sporco da non averne avuto il coraggio. Chissà se, di fronte ai grandi occhi scuri di Estelle, già pensa a quando se ne innamorerà e farà di tutto per sposarla.
Il primo e l’ultimo dei Falkner
Questa storia è del tutto inventata. Di vero c’è solo che William incontrò Estelle da bambino e i due rimasero in contatto per molto tempo, fino a quando non fu loro possibile sposarsi. Credo, però, che sia nel perfetto stile di Faulkner cominciare a raccontare della sua vita con qualcosa che non è davvero successo, ma che potrebbe, quanto meno, esserlo. L’intera produzione faulkneriana si fonda su una distorsione del passato, su un piacevole ma talvolta violento rimaneggiamento degli eventi. Intendiamoci, Faulkner non ne ha mai fatto mistero. Solo la volta che raccontò di essere entrato nell’aereonautica aveva mentito e non voleva ammetterlo. Nei suoi romanzi, invece, questa dissimulazione del passato – e del presente, di tanto in tanto – è palese: il lettore lo sa, e ci fa i conti.
William nacque nel 1897 a New Albany, Mississippi, in una famiglia tipicamente sudista. Capostipite di quella famiglia era il bisnonno William Clark Falkner, il vecchio colonnello, che aveva combattuto nella guerra civile e aveva costruito la ferrovia della città. La mitologia che circondava la figura del bisnonno fu per William di grande ispirazione, soprattutto perché vedeva nel padre, invece, un altro archetipo di individuo: il decadente. O, per meglio dire, il sudista decadente, che sentiva gravare su di sé tutte le conseguenze della guerra. L’infanzia dell’ultimo dei Falkner fu felice e spensierata: il mondo assolato e lento del sud rendeva le sue giornate ricche di fantasie. Solo più tardi, quando crebbe e iniziò ad avvertire le prime delusioni, la sua natura divenne più malinconica e decise di riversarla nella sua prosa.
L’inferno perduto
Sono sempre le abitudini oziose quelle che si rimpiangono
Nei romanzi per cui è più noto, Faulkner racconta degli Stati del Sud. Se si dovesse definire lo stile che abbraccia quest’autore, si direbbe che ha sempre prediletto il flusso di coscienza. I suoi personaggi parlano in prima persona, o sono raccontati da altri, o comunque stanno dentro una narrazione poco affidabile, che segue i propri pensieri e si perde in digressioni e aneddoti che sviano dall’intreccio principale. Per questo riassumere i libri di Faulkner è così difficile.
Il nucleo centrale, però, è il Sud. Gli attori che Faulkner mette sulla pagina hanno tutti a che fare con il Sud, soprattutto con le conseguenze della guerra, e soprattutto con la loro nostalgia di tornare indietro. Sono persone ancorate, senza essere patetici, al passato, e lottano con un presente che li schiaccia senza riserve. Certo – sembrano dire – una volta c’erano cose brutte come la schiavitù, ma la vita era più luminosa, più spontanea. È come se tentassero sempre di tornare a un paradiso perduto che del paradiso non ha nulla, e loro lo sanno, ma non possono farci niente. La natura della nostalgia è così, distorce ciò che era perché carica delle preoccupazioni di ciò che è qui e ora.
Malinconia e genio
Con i primi romanzi Faulkner non ebbe successo perché nessuno lo capiva. Quando scrisse L’urlo e il furore, nessuno lo lesse, e così accadde con Mentre morivo. Certo è che Faulkner non era uno sprovveduto, e capì che non poteva diventare ricco e famoso scrivendo libri che non avrebbe letto nessuno: ci voleva il bestseller. E così scrisse nel 1931 un romanzo facile, classico, ma geniale al contempo, Santuario, che lo fece ascendere tra i grandi autori e portò alla scoperta delle sue opere precedenti. Nel frattempo aveva sposato Estelle dopo che lei era stata costretta a prendere per marito un giudice che i suoi genitori avevano scelto per lei e da cui ora aveva divorziato; e aveva guadagnato abbastanza denaro per finire di restaurare la sua casa in stile coloniale a Oxford.
Nel 1949 gli fu assegnato il Premio Nobel. Con quel denaro istituì a sua volta un premio rivolto ad aiutare i nuovi talenti letterari, il Premio Faulkner. Nell’ultima parte della sua vita soffrì di alcolismo, ma viaggiò anche per tutto il mondo, dall’Europa al Giappone. Alla fine morì giovane, a sessantaquattro anni, per un infarto, e lasciò la sua casa in eredità all’Università del Mississippi perché fosse utilizzata come alloggio per gli studenti di giornalismo. A riprova del fatto che Faulkner, col tempo, ha sempre giocato e giocherà sempre: rimodellando il passato, raccontando il presente, e influenzando, con la sua letteratura e la sua lungimiranza, il futuro.
Il tempo non è poi questo gran male, dopotutto. Basta usarlo bene, e si può tirare qualsiasi cosa, come un elastico, finché da una parte o dall’altra si spacca, e eccoti lì, con tutta la tragedia e la disperazione ridotta a due nodini fra pollice e indice delle due mani
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