Qualche tempo fa avevo voglia di leggere qualcosa di divertente.
Sono andata in libreria e ho chiesto al librario se avesse qualcosa che facesse ridere, specificando “Non David Foster Wallace”. Lui mi ha guardato malissimo e mi ha detto che non c’era bisogno di specificare, perché David Foster Wallace non è qualcosa di divertente.
Sono tornata a casa e ho riaperto Infinite Jest.
In un futuro non troppo remoto e che somiglia in modo preoccupante al nostro presente, la merce, l'intrattenimento e la pubblicità hanno ormai occupato anche gli interstizi della vita quotidiana.
Infinite Jest è un’opera di oltre mille pagine, con molteplici narratori, una cronologia interna non lineare, circa 388 note narrative e un bacino di temi e argomenti che vanno dal tennis, alla dipendenza dalle sostanze stupefacenti, agli abusi sui minori, alla pubblicità, a tutto quello che può stare in un romanzo reputato enciclopedico.
Io l’ho comprato quando avevo 16 anni, perché grande e dalla bella copertina. Da allora l’ho iniziato dieci volte. Ognuna delle dieci volte ho riso molto e ognuna delle dieci volte l’ho mollato al secondo capitolo.
Scrivere un’articolo per la ricorrenza della morte di David Foster Wallace mi sembrava una buona occasione per riprenderlo in mano; un motivo valido per riuscire ad arrivare almeno al capitolo cinque e cercare di capire se il problema fosse il mio senso dell’umorismo, quello del libraio o quello di David Foster Wallace.
A un giovane scrittore viene commissionato il reportage di una settimana in crociera extralusso nei Caraibi. Lo scrittore è David Foster Wallace e la permanenza sulla "meganave" si trasforma in un'esilarante cronaca, ma anche in un acido ritratto dell'americano in vacanza
Ma Infinte Jest l’ho prestato a qualcuno, come ogni buon libro si è offeso e non mi è più tornato.
Quindi ho riletto Questa è l’acqua, una raccolta di sei testi: cinque racconti e un discorso che Wallace tenne ai giovani laureati del Kenyon College nel 2005.
Nelle pagine di questo libro è racchiuso tutto il percorso di uno scrittore immenso e di un uomo immensamente fragile. C'è il suo rapporto con la depressione che l'ha accompagnato per tutta la vita nel commovente e doloroso Il pianeta Trillafon in relazione alla Cosa Brutta.
Il discorso ai laureati inizia così:
«Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?”
I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”»
Definito dal New York Times un "Émile Zola post-millennio," quello che è uscito dalla penna di David Foster Wallace non è stato altro che un flusso ininterrotto d’umanità. Una prosa massimalista, divagante e complessa. Uno stile tanto impegnativo quanto intenzionale: l’unica soluzione possibile, agli occhi dell’autore, per poter catturare la complessità della vita moderna, mostrando quanto sia difficile dare un senso a un mondo caratterizzato da sovraccarico di informazioni e distrazioni.
Otto romanzi brevi in cui Wallace gioca felicemente fra le macerie della realtà, aprendo nuove vie, nella scelta sia del tema come della forma più originale e sorprendente.
E tutto può stare dentro l’aneddoto dei pesci: siamo così immersi nella nostra stracolma realtà quotidiana che non la percepiamo più; diamo per scontato tutto, lasciamo il controllo della nostra percezione, e l’acqua, in questo caso, è l'elemento circostante, l'ambiente che ci circonda e che spesso ignoriamo.
«“Imparare a pensare” vuol dire in effetti imparare a esercitare un qualche controllo su come e cosa pensi. Significa anche essere abbastanza consapevoli e coscienti per scegliere a cosa prestare attenzione e come dare un senso all’esperienza. Perché, se non potrete esercitare questo tipo di scelta nella vostra vita adulta, allora sarete veramente nei guai. Pensate al vecchio luogo comune della “mente come ottimo servitore, ma pessimo padrone”.
Questo, come molti luoghi comuni, così inadeguati e poco entusiasmanti in superficie, in realtà esprime una grande e terribile verità. Non a caso gli adulti che si suicidano con armi da fuoco quasi sempre si sparano alla testa. Sparano al loro pessimo padrone. E la verità è che molte di queste persone sono in effetti già morte molto prima di aver premuto il grilletto.»
David Foster Wallace ha sofferto di depressione per oltre vent’anni e di solito è così che si inizia a parlare di lui: dal suo suicidio avvenuto nel 2008, a soli quarantasei anni, impiccandosi.
Ma io preferisco sempre parlare di quello che sopravvive: in questo caso la sua volontà di sfidare le convenzioni letterarie, e la sua capacità di esplorare vita e la condizione umana attraverso la letteratura.
Ancora non ho capito se i suoi libri facciano ridere o no, se siano divertenti o no. Essendo definito un autore post-modernista potremmo parlare ironia grottesca, kafkiana. Non lo so, ma non penso nemmeno che ci sia un giusto o un sbagliato: a me fa ridere e al mio libraio no. Siamo due persone diverse e in modo diverso reagiamo allo scontro con quel muro di umanità che sono queste opere.
Perché per David Foster Wallace il compito della letteratura è sempre stato questo: superare il proprio ego e raccontare una verità più grossa, raccontare cosa significhi essere umani.
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