Ed egli parlò loro, proponendo loro temi musicali; ed essi cantarono al suo cospetto, ed egli ne fu lieto
Così si apre il Silmarillion, la teogonia postuma ideata da John Ronald Reuel Tolkien e che racchiude le origini di Arda – il mondo in cui si sviluppano le vicende della più celebre Terra di Mezzo –, costituendo di fatto le basi di un’epica mitologica tutt’oggi venerata dai patiti del genere fantasy e rispettata dai linguisti di tutto il mondo. Ilùvatar, l’unico, genera una progenie a cui distribuisce le proprie conoscenze attraverso il canto delle gesta eroiche che compiranno e del futuro che si prospetta per il mondo tutto, ancora in attesa di una genesi. E i Valar, le divinità di questo universo, seguono il volere del proprio creatore. Il Silmarillion – e di conseguenza Il Signore degli Anelli, di cui è opera fondante – comincia con la narrazione di una storia; perché narrando comincia il mondo, secondo Tolkien.
Molti bambini creano, o iniziano a creare, lingue immaginarie. Io mi ci sono cimentato sin da quando ho imparato a scrivere. Ma non mi sono mai fermato
Per raccontare una storia serve però una lingua che evochi il mondo narrato e le vicende che avverranno in tutta la loro musicalità. Come più volte ha confessato J.R.R. Tolkien, il suo obbiettivo in quanto autore non era costruire una lingua che potessero parlare le popolazioni che abitano le sue pagine, ma dare un popolo che parlasse la lingua di sua invenzione, un miscuglio che furbescamente spilluzzica il lessico del greco e le strutture del latino incastonandoli nelle lingue finniche che tanto lo avevano appassionato – a partire dal Kalevala, il grande poema epico finlandese, fino agli studi universitari. Tolkien ha cercato di concepire un mondo che parlasse la sua lingua, ma ha finito per costruire un universo in grado di sopravvivere alla morte del suo creatore, un universo che continua a raccontare un’epica dove persone da tutto il mondo e da tutti i tempi trovano ancora rifugio. Di cui continuano a cantare le canzoni.
Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempo che ci è dato
Il Signore degli Anelli è diventata un’opera le cui dimensioni hanno spesso oscurato lo stesso creatore. In queste occasioni spesso l’effetto generato sull’autore è un generale scontento, seguito da un tentativo di ribellione; nel caso di J.R.R. Tolkien no. Al contrario lui ha seguito la fama delle sue opere con soddisfazione e orgoglio, al punto di confondere il mondo da lui creato col mondo reale. Che poi, spesso ai nostri occhi è reale il mondo che ci sembra più coerente nelle leggi che lo regolano. E Il Signore degli Anelli è certamente coerente: dalle origini descritte nel Silmarillion, fino alle vicende che concludono le avventure di Frodo e della compagnia dell’anello. Ciò che stupisce però è la fedeltà con cui l'autore ha perseverato nello scrivere l’innumerevole quantità di scritti e racconti ambientati in questi luoghi. Addirittura, la Terra di Mezzo ha fatto capolino nel nostro mondo: spesso, infatti, Tolkien usava la lingua da lui inventata per scrivere avvincenti lettere ai figli fingendosi Babbo Natale (raccolte in Lettere da Babbo Natale, edita da Bompiani). La potenza del Signore degli Anelli è proprio la costruzione di un mondo che può essere esplorato all’infinito, al punto da superare la fine delle pagine e arrivare dove cominciamo noi.
Una storia deve essere raccontata, o non esiste alcuna storia, eppure le storie più toccanti sono quelle che non vengono raccontate.
E noi arriviamo solo fino alle porte della morte. Nell’epica tolkieniana gli uomini si differenziano dagli elfi per i doni che Ilùvatar presenta loro. Il primo dei quali – quello che distingue gli uomini rispetto alle altre creature di Arda – è la possibilità di morire. Se infatti gli elfi, le prime creature, giungono alla morte in battaglia o per le sofferenze psicologiche, non possono accedere là dove gli uomini arrivano ma rimangono in una sorta di stasi. Agli uomini, quindi, è fatto dono di una vita che possono godersi in maniera più intensa, senza che il tempo dell’immortalità ne sbiadisca i piaceri, e per questo sono definiti “Ospiti”, presenti sulla terra in attesa che possano superare i cancelli della morte e arrivare dove nessun altro può giungere. Tolkien, a cinquant’anni dalla sua morte, è senz’altro uno degli “Ospiti” più intensi che il nostro mondo abbia accolto. Ma se ancora oggi sopravvive il suo ricordo e le sue storie vengono raccontate con tale vitalità, tanto umano mi sa che non era.
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