Dopo 25 anni è ancora più certo: Il grande Lebowski è un cult a tutti gli effetti.
All’inizio l’uscita nelle sale (in Italia il 1° maggio 1998) è passata quasi in sordina e non ha conquistato né il grande pubblico né la critica. Fortunatamente nel tempo è stato rivalutato a tal punto da arrivare a ottenere l’appellativo di cult.
Un film che ancora oggi è nell’immaginario collettivo per tutta una serie di motivi. Non solo per la storia e il modo in cui essa è costruita più che sapientemente dai fratelli Coen, pronti a distruggere e destrutturare le regole della società, ma anche per l’iconico personaggio protagonista e il suo modo di vedere il mondo e, di conseguenza, viverlo.
Un "vecchio ragazzo" degli anni Settanta, calzoncini corti e fiducia negli amici, viene scambiato per un misterioso omonimo, e per questo sequestrato.
Anche se, fino a quel momento, la carriera alle spalle era stata caratterizzata anche da ruoli importanti, sicuramente il Drugo del Grande Lebowski ha significato un’inversione di rotta notevole per Jeff Bridges.
Il suo personaggio, apprezzatissimo, soprattutto adesso, a distanza di 25 anni, altri non è che un hippie fallito e disoccupato, ma orgoglioso di esserlo.
Queste le parole dell’attore a proposito del suo personaggio diventato iconico e leggendario:
La mia prima impressione, leggendo il copione, fu quella che si trattava di una grande storia e che non avevo mai fatto nulla di simile. Pensai che i fratelli Coen mi avessero spiato quando ero alle superiori
Ciò che fin da subito ha colpito, infatti, prima in maniera forse negativa, è proprio questo suo atteggiamento e questo suo status.
Drugo ancora oggi è un simbolo di totale ribellione a qualsiasi legge o regola e alla cultura del successo e del materialismo in generale (ne abbiamo parlato qui con Oliver Benjamin)
Il tutto in netta contrapposizione con lo stile di vita del suo omonimo, motivo scatenante dell’intera bizzarra vicenda.
Caos allo stato puro, sotto tutti i punti di vista. Ma è proprio questo caos ad aver reso Il grande Lebowski una sorta di pietra miliare. Anche perché di pietre miliari a cui il film fa riferimento ce ne sono a tal punto da non riuscire a identificarlo totalmente all’interno di un solo genere.
Perché è un po’ western, un po’ thriller e un po’ noir, il tutto condito con una comicità grottesca in grado di renderlo quasi un unicum. Il Lungo Addio, Il Grande Sonno, Il Mistero del Falco e quell’iconico personaggio creatosi attorno al leggendario Humphrey Bogart sono citati, ripresi e presi in giro dai due registi.
E come per il genere, allo stesso modo risulta difficile anche collocarlo temporalmente.
Siamo nella Los Angeles dei primissimi anni ’90, ma i richiami e i riferimenti sono anche al passato, quello degli anni ’80 e, in parte, anche quello precedente. Sono da contestualizzare tutte le geniali e iconiche battute di Drugo e dei suoi amici che vanno a contrastare e a non prendere sul serio niente di ciò che li circonda.
Ma Il grande Lebowski potrebbe anche essere visto come una sorta di celebrazione dell’uomo medio, incarnato perfettamente dal protagonista che continua a vivere tranquillamente la sua vita, senza preoccuparsi del resto e rimanendo come confinato nella sua bolla di abitudini e amicizie.
Sì perché se è vero che Drugo è la totale essenza del film dei geniali fratelli Coen, gli altri personaggi non sono comunque da dimenticare. Anzi. Dal veterano di guerra e compagno di bowling con battute diventate veri e propri tormentoni interpretato da John Goodman al personaggio di Steve Buscemi che in ogni scena in cui appare indossa una camicia da bowling personalizzata con un nome diverso che non è mai il suo.
Un insieme di elementi che hanno contribuito, a distanza di 25 anni, a far diventare il film, come detto, un cult.
Un cult che ha influenzato e che continua a influenzare non solo a livello cinematografico. Basti pensare che dal 2002 è stato creato addirittura un festival, il Lebowski Fest, che celebra la pellicola dei fratelli Coen con partite di bowling, gare di costumi, quiz e bevute.
Più che di una storia, Il grande Lebowski è un atteggiamento e uno stile di vita. Quello stile di vita in grado di esaltare i falliti felici di esserlo e i perdenti.
Ed è proprio in questo che si riconosce l’imprevedibilità dei fratelli Coen in grado, dopo Fargo, di sfornare un’opera del genere, inizialmente denigrata da pubblico e critica, tanto da far quasi dubitare a proposito del successo pregresso.
Un’opera che ancora, dopo 25 anni, è in grado di parlare, senza mezzi termini, con il pubblico di oggi senza perdere la sua vena iconica, comica, grottesca e geniale.
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