Sapore di sala

Il Padrino 50 anni dopo, l’altro messaggio del capolavoro di Coppola

Ci sono un milione di ragioni per cui Il Padrino, il capolavoro di Francis Ford Coppola dal romanzo di Mario Puzo, è entrato nella storia del cinema fin dal suo debutto nelle sale, esattamente, 50 anni fa. La prima è Don Vito Corleone. Figura imponente resa mitologica nella performance di Marlon Brando, avvolto nella penombra di Gordon Willis. Fu dello stesso Brando l’idea di infilarsi del cotone idrofilo in bocca per gonfiare le guance, così, da apparire «minaccioso come un bulldog». In realtà, lo ha fatto durante l’audizione mentre per le vere riprese indossò una protesi dentaria.  

Il Padrino racconta l’ascesa criminale della potente famiglia italoamericana dei Corleone negli Stati Uniti del XX secolo. In pochi mesi dalla sua uscita - il 24 marzo 1972 - il film frantumò il record d’incassi detenuto, fino ad allora, dal kolossal Via col vento (1939).  

Nel tempo, Il Padrino avrebbe sfiorato i 300 milioni di dollari, aggiudicandosi 10 candidature all’Oscar e le statuette più prestigiose per il miglior film, il Miglior Attore Protagonista e la Migliore Sceneggiatura Non Originale. Un successo senza precedenti. Merito del cast stellare, della musica operistica di Nino Rota e di «massime» entrate a far parte dell'immaginario collettivo: dall’incipit «Io credo nell'America» al pragmatico «Gli amici tieniteli stretti ma i nemici ancora di più» fino alla celeberrima «Gli farò un'offerta che non potrà rifiutare».  

In seguito, Coppola tornerà a narrare la parabola del clan più famoso del cinema negli altri due capitoli della trilogia, Il Padrino, parte II (1974) e Il Padrino, parte III (1990). 

L'immortale fascinazione de Il Padrino sta, certamente, nella storia raccontata. Il Padrino è un film sulla criminalità organizzata, incentrato su una potente dinastia. Quella dei Corleone. Ma è più, specificamente, un film sul rapporto padre e figli. Quello tra il boss della mafia newyorkese Vito «Brando» Corleone e i suoi figli maschi: Sonny di James Caan, Michael di Al Pacino, Fredo di John Cazale e l’adottivo Tom Hagen di Robert Duvall. Don Vito esige il rispetto di tutti, figli compresi (inclusa l’unica femmina, Connie). È un uomo da temere ma al tempo stesso un padre indulgente.  

La figura di cui bramano l'approvazione e l'affetto, un mentore che può crearli o distruggerli. Non c'è da stupirsi, quindi, che i suoi figli siano così desiderosi di compiacerlo, tutti, tranne Michael: il preferito di Vito. Terzogenito, Michael è l'unico dei figli di Don Corleone a non far parte del crimine organizzato, e contro il parere del padre abbandona l'Università e si arruola nei Marines quando gli Stati Uniti entrano in guerra contro il Giappone. Tornato in patria da eroe, si fidanza con Kay Adams (Diane Keaton), sua futura moglie; questo è motivo di grande delusione per la famiglia Corleone in quanto non italiana.  

A seguito del mancato assassinio di Don Vito, Michael si ritrova risucchiato in una spirale di violenza che lo porterà ad assumere il comando della famiglia Corleone, con la benedizione del padre a cui succederà, diventando il boss mafioso più influente degli Stati Uniti. Nel secondo atto della trilogia, Michael compie il «peccato supremo» e uccide suo fratello Fredo. Mostrando, così, come sia diventato diverso da suo padre che dirigeva un impero criminale regolamentato da un preciso codice d'onore e morale, basato sui valori della famiglia. Vito è, visibilmente, deluso quando all’ospedale apprende che Michael ha commesso il suo primo omicidio. In seguito, nella scena in giardino, confesserà al figlio: «Non ho mai voluto questo per te».

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