Quarant’anni fa ci lasciava per sempre John Cheever, scrittore statunitense noto con il soprannome del Čechov dei sobborghi per la sua abitudine di mettere al centro della propria scrittura la quotidianità degli abitanti della periferia cittadina. Anche se nella sua produzione letteraria sono annoverati romanzi del calibro di Falconer, è nella forma del racconto breve che John Cheever riuscì a brillare, firmando nel 1979 la raccolta I racconti, che sarebbe stata in seguito insignita del premio Pulitzer.
Figlio di due commercianti, il futuro scrittore apprende come primissima lezione di vita che anche le famiglie più apparentemente irreprensibili nascondono sotto alla patina dorata della rispettabilità borghese segreti, difetti e contraddizioni. In seguito ad alcune difficoltà economiche, il padre ha infatti imboccato la strada dell’alcolismo e si è separato dalla moglie. L’instabilità familiare non tarda a mostrare le proprie ripercussioni anche sul rendimento scolastico del piccolo John, che prima viene espulso da scuola – esperienza che sarebbe poi confluita nel racconto Expelled –, poi si trasferisce con il fratello a Boston e infine, appena ventiduenne, si fa ospitare da una comunità artistica a Saratoga Springs.
Curiosità
Nel corso della sua vita, John Cheever si spostò spesso di sobborgo in sobborgo, di città in città, dimostrando fin da giovanissimo di avere una natura inquieta e amante dei viaggi. Eppure, sembra che lo scrittore fosse affetto da una strana fobia: soffriva infatti di gefirofobia, ovvero dell’irrazionale paura di attraversare i ponti.
Anche dopo la riconciliazione dei genitori, John Cheever sceglie di proseguire la propria vita da nomade, finendo spesso per dormire in auto. Nel frattempo, continua a scrivere, e a ventitré anni vende il proprio primo racconto al The New Yorker. È l’inizio di una collaborazione che lo porterà a firmare oltre centoventi pezzi.
Dopo il matrimonio con Maria Winternitz si arruola nell’esercito. Una sua raccolta di racconti, The Way Some People Live, capita per caso nelle mani di un suo superiore, il maggiore Leonard Spigelgass, che ne riconosce il grande valore letterario e ordina il trasferimento di Cheever agli studios della Paramount Pictures di Astoria. In quel momento lo scrittore non può saperlo, ma la scrittura gli sta salvando la vita: durante lo Sbarco in Normandia, la sua compagnia d‘armi verrà infatti quasi del tutto decimata.
Dopo la guerra, si trasferisce con la famiglia a Manhattan, dove si dedica alacremente alla propria scrittura.
Curiosità
Leggenda vuole che ogni mattina, per cinque anni, John Cheever indossasse il suo unico completo e prendesse l'ascensore per recarsi nella cantina condominiale. Lì, si spogliava fino a restare solo in boxer e si metteva a scrivere fino all'ora di pranzo.
Riprende così a lavorare al romanzo abbandonato durante la guerra, The Holly Tree, e continua a vendere decine e decine di racconti, costruendosi ben presto un notevole seguito di ammiratori. Negli anni seguenti continua a firmare successi che vengono anche opzionati per il grande schermo e, fedele alla propria natura inquieta e nomade, utilizza i proventi della propria scrittura per spostarsi continuamente: prima il sobborgo newyorkese di Beechwood, poi quello di Ossining, nel frattempo un lunghissimo viaggio in Italia.
Ma Icaro sta volando troppo vicino al sole e in questo periodo iniziano a manifestarsi le prime avvisaglie di una grave dipendenza dall’alcol e di una salute mentale sempre più precaria. Lo psichiatra David C. Hays descrive così lo scrittore nei propri appunti: un uomo nevrotico, narcisista, egocentrico, senza amici, e profondamente coinvolto dalle proprie illusioni difensive
Per difendersi dallo spettro della depressione, John Cheever instaura una relazione extra-coniugale con l'attrice Hope Lange e accetta la cattedra di scrittura presso l'Iowa Writers' Workshop, ma non riesce a chiudere con l’alcol. La facciata che mostra agli altri sta iniziando a sgretolarsi: la bisessualità a lungo repressa e mai del tutto accettata lo porta a intrecciare rapporti brevi ma molto sofferti con diversi uomini.
Si tratta di relazioni intense e macchiate da un fortissimo senso di colpa, che emerge vividamente dalla corrispondenza privata di Cheever.
Caro ____, questa mattina mi sono svegliato con un uccello duro e bagnato ed è bagnato anche adesso, dopo avere parlato con te, ma non solo per questo (…) è il ridere e lanciare palle di neve, è sentire te che ti lamenti della mia tosse da fumatore e delle dimensioni del mio uccello, è il tornare a ___ con te al volante e io nascosto nel sedile posteriore tra i panni da mandare in lavanderia. Ho pensato per un anno che un simile amore debba essere perverso, crudele e invertito ma non riesco a trovare alcuna traccia di ciò nel mio amore per te. Mi sembra naturale e semplice come passare un pallone da football in una bella giornata di ottobre Con amore, John
Nelle intenzioni di Cheever queste lettere dovrebbero restare private, ma qualche anno dopo la sua morte il figlio Benjamin decide di darle alla stampa, finendo quindi per gettare luce sull’interiorità di un uomo tanto amato quanto tormentato: al disprezzo per sé stesso e i propri inconfessabili desideri, lo scrittore aggiunge anche una forte insicurezza sul proprio valore come artista e l’alcolismo non fa che ingigantire queste paranoie.
Ma tanto è tragica la sua vita privata, quanto invece le sue storie restano caratterizzate da un incrollabile e quieto ottimismo. A prescindere infatti dall’umana debolezza descritta nei suoi racconti, il sentire di fondo presente nei suoi scritti conserva sempre intatta una scintilla di speranza nel futuro.
Da quando quel libro finito nelle mani del suo superiore gli ha risparmiato una morte certa in Normandia, l’arte ha per Cheever un valore salvifico e consolatorio. Scrive infatti alla fine del racconto I gioielli dei Calbot:
I bambini annegano, donne bellissime vengono maciullate in incidenti stradali, le navi da crociera affondano e gli uomini muoiono di morte lenta nelle miniere o nei sottomarini, ma non troverete niente di tutto questo nei miei racconti. Nell’ultimo capitolo la nave rientra in porto, i bambini vengono salvati, i minatori vengono estratti da sottoterra.
Nell’ultimo capitolo della sua vita, il lieto fine arriva anche per lo stesso John Cheever: toccato il fondo e sfiorata l’idea del suicidio, lo scrittore viene salvato in extremis dal fratello Fred, che lo spinge a intraprendere un percorso di riabilitazione.
Cheever smette di bere e passa i propri ultimi anni a scrivere, ricevendo il prestigioso premio della National Medal for Literature, che gli viene consegnata in una solenne cerimonia a Carnegie Hall.
Si spegne dopo una lunga malattia nel 1982.
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