Sapore di sala

80 anni di grandi film: auguri Martin Scorsese!

Intrigo internazionale di Hitchcock ha reso popolare il monte Rushmore, dove campeggiano le effigi di quattro grandi presidenti degli Stati Uniti. Sono Washington, Lincoln, Jefferson e Teddy Roosevelt. Penso a un ideale monte Rushmore per quattro grandi registi americani di questa epoca. Sono Scorsese, Spielberg, Allen e i Coen, anche se sono due. So benissimo che altri studiosi farebbero altri nomi. Ma sto alla mia discrezione e non mi stancherò mai di dire che nessuna disciplina è più discrezionale del cinema. Ma comunque credo che quei quattro, anzi cinque, nessuno li discuta.

Il focus è Martin Scorsese, che il 17 novembre compie 80 anni. Trattasi di grande artista, completo, padrone di tutti i registri e degli equilibri drammaturgici del cinema al livello più alto. È un inventore, un narratore lucido ed efficace, e non manca di un tratto visionario distribuito con prudenza. E ha dimostrato di sapersi evolvere e cambiare

Dati decisivi. Nasce a Little Italy, e frequenta alcuni dei personaggi, veri, che poi trasferirà nei suoi film. Queste amicizie compromettenti portano all’espulsione dal seminario che sembrava, all’inizio, il suo destino. Questo aspetto mistico tradito lo porterà a una visione della fede che espliciterà nell’Ultima tentazione di Cristo (1988), dove il regista si ispira ai vangeli apocrifi per raccontare di un Gesù, marito di Maria Maddalena e padre di famiglia. Una visione che… non piacque a tutti.

Poco più che ventenne Martin si avvicina al cinema e mostra, in embrione, quelli che saranno i suoi contenuti: la vocazione alle vite violente, ai personaggi tormentati in vena di autodistruggersi, ma con autoironia e comunque modelli in controluce delle ambiguità della cultura (italo)americana.

Il racconto fuoricampo spesso adottato dimostra la sua attitudine alla scrittura. E, parlando di “vocazioni”, altro elemento decisivo è la passione, del resto comune a molti autori americani, per il realismo italiano di De Sica, Rossellini e Visconti, che racconta nel documentario Il mio viaggio in Italia (2001). 

E poi l’incontro con Robert De Niro, modello perfetto della proposta artistica di Scorsese. I due sono insieme in film come Taxi Driver (1976, Palma d’oro a Cannes), manifesto della New York notturna e pericolosa; New York New York (1977), riproposta dei musical degli anni d’oro del genere; Toro scatenato (1980), un bianco e nero trionfale per De Niro nei panni di Jake La Motta. L’attore aumentò di trenta chili, per poi perderli, quasi rischiando la vita, ma ottenne l’Oscar. Facendo rapire Jerry Lewis da De Niro in Re per una notte (1983), Scorsese si mostra abrasivo verso il cinismo dei media. Da citare è L’Età dell’innocenza, trasposizione del romanzo di Edith Wharton, dove il regista risolve alla perfezione il rapporto, non facile, fra il testo del master e la voice over da film, con un’ispirazione, dichiarata, viscontiana.

Spettacolare è The Aviator (2004), la vicenda del tycoon Howard Hughes con Leonardo DiCaprio nella parte. Doverosamente degno di nota è The Departed – Il bene e il male (2006), che può essere definito un “ritorno alla storia di mafia americana”, che deborda di divi, Nicholson, DiCaprio, Damon, Baldwin, dove Scorsese ottiene finalmente l’Oscar dopo nove nomination.

Maturando, durante tutti questi film, la sua visione sul male e sulla morte, Martin Scorsese non rinuncia alla sua ricerca sulle contraddizioni della vita moderna, che esprime attraverso il documento piuttosto che con la fiction. Toccando qualcosa che gli sta da sempre a cuore, la musica. Esemplare è il documentario Shine a Light, su due concerti dei Rolling Stones tenuti al Beacon Theater di New York nel 2006. Si è certo divertito un mondo Martin attore, che dà corpo e volto a Van Gogh in un episodio di Sogni, di Kurosawa. Clint Eastwood continua a fare film a 92 anni. Martin: perché no? 

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