Niente di nuovo sul fronte occidentale è un titolo evocativo e armonico, soprattutto importante perché è un’opera legata a quattro opere, un romanzo e tre film.
L’ultima versione, del 2022, disponibile in streaming su Netflix, parteciperà agli Oscar forte di ben 9 nomination.
È opportuno citarle: miglior film, miglior film straniero, sceneggiatura non originale, fotografia, scenografia, trucco e acconciatura, effetti speciali, sonoro, colonna sonora.
Qualche statuetta, magari importante, se la porterà a casa.
Partiamo dal master, dal romanzo di Erich Maria Remarque (1898-1970).
Nato in Sassonia, a 18 anni l’autore venne chiamato alle armi dall’esercito tedesco. La sua vita e la sua storia di scrittore vivranno su quella chiamata. Nel 1929 pubblicò il romanzo che lo impose subito all’attenzione del mondo letterario e lo rese famoso presso il grande pubblico, Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues).
Il libro raccontava la guerra secondo la prospettiva di un soldato ventenne. Emergono la crudeltà, gli orrori, alla fine l’inutilità della guerra. Nessun eroismo raccontato, ma solo la vulnerabilità di chi la combatteva. Il successo del libro fu planetario, due milioni di copie vendute nei primi mesi, oltre cinquanta traduzioni nel tempo.
Il romanzo determinò una reazione ostile e violenta. Nel 1930, alla proiezione del film di Lewis Milestone, Goebbels, numero due nazista, organizzò dei disordini che si estesero a tutte le sale che proiettavano il film. Il 10 maggio del 1933, quando i nazisti diedero alle fiamme i libri sgraditi davanti all’Università di Berlino, Niente di nuovo non poteva mancare. Remarque venne privato della cittadinanza tedesca e mandato in esilio. Si trasferì in Svizzera.
Un’opera come quella, con quei contenuti e quel destino, non potevano che attirare il cinema. Come detto sopra sono tre i titoli, oltre alle molte citazioni sul piccolo schermo.
Inserto. I film sulla Prima guerra mondiale meritano un ragionamento. A fronte di quelli sulla Seconda guerra che sono molto più numerosi. Ci sono titoli di grande qualità anche fra questi ultimi, cito Il ponte sul fiume Qwai (7 Oscar), Salvate il soldato Ryan (5) e il recente Dunkirk (3) ma sempre di racconto di guerra trattasi: eroismi, imprese, caduti, battaglie. Ma alcuni titoli sulla guerra del 15/18 oltrepassano il conflitto e sono portatori di contenuti umani, sociali, pacifisti. Di forte intensità. Sono grandi film al di là del genere. Qualche esempio va fatto: Orizzonti di gloria (1957), di Stanley Kubrick, è il più intenso e abrasivo film antimilitarista di sempre, esprime la crudeltà e il sadismo di chi ha il potere. La grande illusione (1937), di Jean Renoir, espressione alta, pacifista, un titolo che alcune classifiche pongono al primo posto assoluto del cinema. In Addio alle armi (1958) considerato uno dei più importanti e popolari romanzi del Novecento, Hemingway racconta la guerra in Italia, a cui partecipò, mostrando la crudeltà e l’inutilità della guerra stessa. La grande guerra (1959) di Monicelli è un capolavoro assoluto del nostro cinema, per intreccio di racconti e per ricerca “pittorica” delle immagini. Infine All’ovest niente di nuovo, titolo diverso stessa vicenda, del 1930, del già citato Lewis Milestone, la prima narrazione, il super-classico, considerato ancora il modello apicale.
Nel 1979 Delbert Mann firma un’altra versione del film e cerca di rimanere fedele alla storia originale. Anticipa la vicenda di un anno, il 1916, quando le sorti della guerra sembravano favorevoli alla Germania. Il remake non era all’altezza dell’opera di Milestone, ma la qualità generale non manca.
Nell’era recente su quel tema si è impegnato Spielberg col suo romantico e ottimistico War Horse, e Sam Mendes che nel suo 1917 si applica in un esercizio di linguaggio stilistico di estremo virtuosismo
Edward Berger, che firma l’edizione del 2022, ha certo preso visione di tutta la filmografia che riguarda la Prima guerra mondiale, e ne ha tratto le sintesi. Le contraddizioni, le crudeltà e le dialettiche della guerra vengono espresse tutte. I generali fanno accademia con le parole: nella premessa iniziale che la Germania, non c’è dubbio, vincerà quella guerra. Poi c’è il fronte, il fango, il freddo, il gas, le trincee, i compagni che muoiono, i doveri impossibili da capire, da parte di chi poi si trova sulla terra a combattere.
La storia. Primavera del 1917, la guerra sta ormai volgendo a favore degli alleati, la Germania non intende prenderne atto, spera ancora in una vittoria. E così un ufficiale tedesco tenta un’impresa impossibile, quasi suicida. La Germania viene sconfitta.
In quel contesto si muove Paul Baumer, arruolato insieme a tre suoi compagni di scuola. Vedranno la parte peggiore del conflitto, lontanissimo dai discorsi patriottici iniziali e tutte le illusioni saranno disattese. Paul vede cadere tutti e tre i suoi amici, uno dopo l’amputazione di una gamba, l’altro impazzito in ospedale, il terzo falciato da un aereo da caccia. Inutile aspettarsi che la guerra possa risparmiare qualcuno, neppure Paul.
Il regista Berger ha apportato molte, legittime licenze, rispetto al testo e al primo storico modello. Ma si è mosso bene, usando tutte le possibilità che offre il cinema di questa epoca, ma sempre rimanendo al di qua del confine dell’eccesso.
Le sue qualità sono state riconosciute. Lo attestano gli Oscar.
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