Come dite? Gli Oscar 2023 non parlano italiano? Sì, certo, peccato per il fantastico cortometraggio Le pupille di Alice Rohrwacher e per Aldo Signoretti per il trucco e parrucco di Elvis di Baz Luhrman, uno dei grandi esclusi dal palmarès della 95a edizione degli Oscar, la cui cerimonia è stata condotta da un sobrio Jimmy Kimmel senza che nessuna celebrità, quest’anno, alzasse in diretta lo share andandolo a schiaffeggiare. Anzi sul red carpet abbiamo visto addirittura Lady Gaga fermarsi durante il suo ingresso per tornare indietro e aiutare un fotografo che era inciampato alla vista di Sua Maestà.
Ma, in fondo, l’Italia qualcosa c’entra. A24 è l’impresa cinematografica che ha vinto 9 statuette su 24 categorie e porta il nome dell’autostrada Roma-L’Aquila su cui, folgorato, si trovava nell’estate del 2012 Daniel Katz, uno dei fondatori della casa di distribuzione, prima, e di produzione, poi, che sta rivoluzionando il cinema cosiddetto indipendente statunitense.
Bene, dieci anni dopo, Hollywood si inchina alla società che, ieri, era già un brand che vendeva t-shirt con il suo marchio a 40 dollari e felpe a 80, figuriamoci domani. Oggi intanto A24, in un palmarès prevedibile e previsto in molte categorie, festeggia le 7 statuette di Everything Everywhere All at Once, il film sul metaverso inclusivo, scritto e diretto da Daniel Kwan e Daniel Scheinert, in arte Daniels, che è la vera sorpresa pigliatutto di questa edizione: miglior film, regia, sceneggiatura originale, montaggio, attrice, attrice non protagonista, attore non protagonista. In passato solo la Miramax si era avvicinata a simili imprese, e chissà che non sia proprio un caso che ambedue le case di produzione siano espressione del cinema newyorchese così lontano da quello di Hollywood, e che, però, con la loro visione legata a una confezione riconoscibile e identitaria dei loro prodotti e una certa giusta distanza, hanno conquistato.
Ai premi per Everything Everywhere All at Once (acronimo EEAAO) si aggiungono anche le due statuette per The Whale, sempre targato A24, migliore attore e miglior trucco (Brendan Frazer quasi irriconoscibile nella sua obesità è la tipica performance che fa andare in brodo di giuggiole i giurati dell’Academy).
Ed è un po’ anche la vittoria in Italia di una casa di distribuzione come IWonder Pictures che porta in sala entrambi i lavori insieme al miglior documentario, Navalny di Daniel Roher, dedicato all’omonimo dissidente russo la cui moglie è salita sul palco del Dolby Theatre per dedicargli un premio che più politico non si può. Un po’ come la statuetta per la migliore sceneggiatura non originale andata a Sarah Polley, regista del post-MeToo Women Talking - Il diritto di scegliere e come quella a Ke Huy Quan, migliore attore non protagonista per EEAAO, che ha commosso il web con il suo discorso di ringraziamento in puro stile sogno americano con il suo viaggio dal Vietnam «iniziato su un barcone».
Ma il 2023 segna ancora il successo di Netflix che, con il bellico Niente di nuovo sul fronte occidentale di Edward Berger che conquista 4 statuette (miglior film internazionale, fotografia, scenografia e colonna sonora). E non è molto lontano il giorno in cui vedremo il servizio di streaming festeggiare il miglior film mentre con Guillermo Del Toro ottiene la statuetta per il miglior film di animazione, Pinocchio.
I grandi sconfitti di questa edizione portano titoli e nomi altisonanti, di chi ha fatto la storia del cinema come Steven Spielberg con il suo capolavoro snobbato, The Fabelmans, oppure Gli spiriti dell’isola di Martin McDonagh, oppure ancora Cate Blanchett, rigorosa e classica in Tár di Todd Field. Senza dimenticare, come ha fatto l’Academy, i due film che, oltre a salvare il cinema in sala lo scorso anno, erano anche molto belli: Top Gun: Maverick (di cui trovate la recensione su Maremosso) e Avatar - La via dell’acqua (una sola statuetta, migliori effetti speciali, e ci mancherebbe…).
Possiamo pure strapparci le vesti, anche se solo di premi si tratta, ma, insomma, è chiaro che lo spirito del tempo è mutato, molte cose stanno cambiando nell’industria statunitense anche in rapporto al cinema più d’essai, e società come Searchlight Pictures, Focus Features e Sony Pictures Classics, sempre in prima linea nelle candidature ma poi a bocca asciutta, devono lavorare molto per aggiornarsi ai nuovi standard, anche di marketing (e non è una bestemmia), imposti da produzioni come A24 e Netflix.
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