Corona
Nello specchio è domenica,
nel sogno si dorme,
la bocca è sincera.
Scende il mio occhio al sesso dell’amata:
ci guardiamo,
ci diciamo oscurità,
ci amiamo l’un l’altra come oppio e memoria,
dormiamo come vino nelle conchiglie,
come il mare nel raggio di sangue della luna.
Stiamo avvinti alla finestra, dalla strada ci guardano:
è tempo che si sappia!
È tempo che il sasso acconsenta a fiorire,
che l’ansia abbia un cuore che batte.
È tempo che sia tempo.
È tempo.
Traduzione di Gianni Bertocchini Da “Poesia”, n. 102, gennaio 1997
Alla realtà dell'Olocausto, all'appiattimento della parola complice del potere, alla difficoltà di comunicare il poeta oppone la forza delle sue metafore, la suggestione di un linguaggio che con gli anni tende a dissolversi in puro suono. Il suo monologo solitario riesce tuttavia al dialogo, confrontandosi con alcune figure eminenti di quella cultura francese, tra simbolismo e surrealismo, di cui si era nutrito.
Un senso di colpa tanto irrisolvibile quanto ingiusto gravò per tutta la vita su Paul Celan: era convinto di non aver fatto tutto il possibile per salvare la vita dei suoi genitori. Si rimproverava di non essere riuscito a convincerli a lasciare la loro casa, un sabato della fine di giugno 1942, in modo da evitare le retate nazi-fasciste che si verificavano soprattutto nel fine settimana. E quella notte l’irruzione ci fu: il giorno dopo, i genitori erano scomparsi, destinati ai campi di concentramento della Transnistria. Di lì a pochi mesi, il padre sarebbe morto di stenti e tifo, la madre sarebbe stata uccisa con un colpo alla nuca perché “inabile al lavoro”. E la tragedia dello sterminio degli ebrei e la necessità di testimoniarla diventeranno una presenza costante nella produzione poetica di Paul Celan.
Paul Pessach Antschel (questo il suo vero nome) nasce il 23 novembre 1920 a Czernowitz, capitale della Bucovina (allora nel nord della Romania, e attualmente in Ucraina), in una famiglia ebraica di lingua tedesca. Dal 1941 il governo rumeno filonazista inasprisce le persecuzioni contro ucraini, comunisti ed ebrei, che sono uccisi, oppure stipati in un ghetto e poi deportati nei lager: non a caso la “strettezza” (Enge), la distruzione dello spazio vitale, sarà uno dei temi ricorrenti nella poesia di Celan. Poco dopo la morte dei genitori, anche Paul è deportato e fino al 1945 sarà confinato in diversi campi di lavoro coatto. Alla fine della guerra comincia un periodo di peregrinazioni, lontano dal suo paese natale diventato parte dell’Ucraina sovietica. Per un periodo è a Bucarest: si iscrive all’università, traduce in rumeno classici russi e tedeschi, pubblica le prime poesie e comincia a firmare le sue opere con pseudonimi: Paul Aurel, Paul Ancel, Paul Celan. Presto fugge anche dalla Romania comunista, attraversa clandestinamente l’Ungheria e per breve tempo (dicembre 1947-luglio 1948) vive a Vienna, dove pubblica la prima raccolta, La sabbia delle urne, che non viene distribuita per la presenza di numerosi refusi. A Vienna Paul incontra Ingeborg Bachmann: il profondo legame affettivo che nasce tra i due poeti si rispecchierà nelle loro poesie e nelle loro meravigliose lettere. A Bachmann Celan dedica le poesie viennesi, tra cui Corona, in cui si ritrovano tre elementi fondamentali della sua opera: amore, memoria, oblio. Alla fine dell’estate 1948 è a Parigi, dove si stabilisce e si integra negli ambienti culturali: scrive, insegna, traduce (tradurrà poesia da nove lingue diverse). Il francese è la lingua della sua vita quotidiana, il tedesco quella della sua scrittura: “Non mi sentivo a casa nemmeno quando ero in patria”, scriverà.
Nel 1952 sposa l’artista grafica Gisèle de Lestrange, da cui avrà il figlio Eric. Lo stesso anno esce a Stoccarda Papavero e memoria, la raccolta che contiene la sua poesia più celebre, Todesfuge (Fuga di morte), denuncia dell’Olocausto e dei lager nazisti. Nel 1960 gli viene conferito il premio Georg-Büchner: in quella occasione, Celan tiene un discorso intitolato “Il meridiano”, in cui spiega le ragioni della propria poesia e della poesia in generale.
Varie vicende personali concorrono a minare pesantemente le sue condizioni psichiche: nel 1962 comincia per Celan una lunga serie di ricoveri in cliniche psichiatriche. Lui stesso parla di attacchi di “delirio di relazione”. In uno scoppio d’ira, tenta di accoltellare la moglie. Nel 1967 si allontana da Gisèle e dal figlio anche per proteggerli dalla sua sofferenza. Nell’aprile 1970 si toglie la vita gettandosi nella Senna. Il suo corpo sarà ritrovato alcuni giorni più tardi.
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