In un mondo in cui si discute frequentemente dei giovani e delle sfide nell'educazione, è comune che siano gli adulti a esprimersi, mentre è raro sentire direttamente le voci dei ragazzi.
Lettera alla scuola, nuovissima proposta di Feltrinelli per un pubblico di ragazzi dai 13 anni in su, dà voce alla classe III M dell’Istituto Amaldi di Roma, guidata dal professore Christian Raimo, già attivo in indagini sul panorama giovanile in altri suoi libri, tra i quali L’ultima ora. Scuola, democrazia, utopia (Ponte alle Grazie, 2022), Ho 16 anni e sono fascista. Indagine sui ragazzi e l’estrema destra (Piemme, 2018), Tutti i banchi sono uguali. La scuola e l’uguaglianza che non c’è (Einaudi, 2017).
Un libro collettivo, scritto da Christian Raimo e dalla sua classe sulle orme di Lettera a una professoressa di don Milani, per porsi una domanda fondamentale: la scuola può essere un posto dove stare bene?
Gli studenti del liceo romano, dopo aver letto Lettera ad una Professoressa della Scuola di Barbiana di don Milani, analizzano le problematiche affrontate negli anni ‘70 accostandole al contesto odierno e si chiedono quali siano gli elementi di continuità e di dissonanza. Raccolgono le loro voci e quelle di altri coetanei in un libro politico, rappresentazione di una coscienza collettiva.
Il risultato è una visione vivida e non disincantata dell’assetto giovanile e di tematiche urgenti e ingombranti, spesso trattate con distacco da voci lontane e poco adatte. Il proposito del libro è quello di migliorare insieme l’esperienza educativa e di ricercarne non solo un riscontro nella didattica curriculare, bensì in quell’educazione definita informale o incidentale.
Il problema è che ancora oggi la scuola è vista come finalizzata al mero indottrinamento. Ci si chiede: siamo sicuri che la scuola pensata come in passato sia adeguata, oggi?
Oggi noi la scuola, forse, più che viverla, spesso ci sentiamo di subirla, ma sappiamo di avere dei diritti conquistati proprio in quegli anni.
Questo lamentano i ragazzi, che sentono di subire con passività un processo educativo su cui dovrebbero esprimersi in prima persona e riflettono sulla delegittimazione dell’insegnamento e dell’apprendimento come forme di conoscenza del mondo e dell’altro.
Noi studenti spesso ci sentiamo di essere valutati ancora prima che visti, e al tempo stesso facciamo fatica a riconoscere l’interesse per lo studio fine a sé stesso, a sviluppare questo atteggiamento disinteressato.
Il grido di aiuto è ben chiaro; non è, tuttavia, un grido disperato ma si leva lucido e ponderato, perché dal libro emerge come i ragazzi abbiano una maturità di pensiero e una capacità di autoanalisi che gli adulti dovrebbero solamente invidiare. Sembra che la scuola stessa sia spaventata ad insegnare l’autonomia, il pensiero critico, la libertà di espressione e la partecipazione politica.
Ecco, quello che vorrei dire è che la conoscenza ha un peso ed è una formula, una magia che nasce dentro di te e quel desiderio deve rimanere in te. Nella scuola italiana non è così, si vuole che tu ti uniformi.
L'analisi fatta dagli studenti romani è completa: si parte dall’indagare il contesto classe, luogo di unione, sperimentazione ed espressione, a riflessioni più complesse sul sistema di valutazione e sulle bocciature, dal rapporto di crescita condivisa tra professore e allievo alla dimensione più materiale della scuola, con approfondimenti sulle strutture, sui contesti territoriali e l’uso di strumenti quali il registro elettronico.
Lettera ad una professoressa di don Milani ha offerto ai ragazzi la possibilità di comprendere con chiarezza l’impianto normativo italiano e le statistiche, in particolare quelle relative alle disuguaglianze. I ragazzi hanno riportato dati teorici molto importanti – riepilogando la storia legislativa scolastica italiana in modo degno di nota - proiettandoli nella vita quotidiana della loro classe e della periferia romana grazie a indagini ed esempi. Il linguaggio usato è fresco ma non informale, tranne nelle interviste ai coetanei riportate quasi integralmente, in cui l’uso del dialetto romano facilita l’immedesimazione.
A un'amica che gli chiedeva che cosa si potesse fare per "Lettera a una professoressa" appena dato alle stampe, un Lorenzo Milani in fin di vita rispose: «Fate baccano!».
Le pagine sono sincere e sprigionano il desiderio immenso dei giovani di essere visti e capiti, la delusione verso un sistema che fa delle persone “oggetti di valutazione” e non soggetti in grado di comprendere sé stessi e il mondo. Si percepiscono quasi con dolore il senso di solitudine e la richiesta di accudimento di una generazione che finalmente può essere protagonista del proprio destino ma che, continuamente sottoposta a valutazione, introietta tutta la fatica, l’ansia e la pressione del processo.
Si parla di bocciature e dispersione scolastica ma poco del perché si abbandona la scuola; si parla di orientamento ma questo diviene solo uno strumento a servizio della riproduzione delle disuguaglianze.
È necessaria un’intelligenza emotiva e cognitiva degli adulti, non solo i loro saperi! Serve una scuola che unisca le persone coinvolte – alunni, professori, genitori – e non che le allontani. La constatazione è che si tende sempre a parlare di scuola ma dall’esterno, perché, in fondo, a scuola si parla di tantissime cose, ma mai di scuola stessa.
Grazie agli studenti della III M dell’Amaldi di Roma e al professor Raimo, si è parlato un po’ più di scuola e ciò è stato fatto con estrema cura, coraggio e autenticità.
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