Talvolta il naufrago è un esploratore, salpato in cerca di avventure e scoperte, e il naufragio è un rischio calcolato. Oppure è un viaggiatore che desiderava soltanto partire e arrivare, ma che alla deriva scopre una parte di sé fino ad allora sconosciuta
Con la sua scrittura chiara e limpida, Anna Vivarelli ci regala dieci racconti di Naufraghi e naufragi, di uomini e di imprese straordinarie che, in alcuni casi, hanno segnato il corso della storia e della letteratura.
Immergersi in questa lettura, edita Sinnos, è iniziare un viaggio suggestivo, fatto di sogni e speranze. Ma un viaggio che in alcuni casi può anche risultare crudele, spietato, fatale.
Per alcuni, prendere il largo in mare, lasciandosi alle spalle la terra ferma, è abbandonare certezze e consapevolezze alla conquista dell'ignoto, mentre, per altri, è scoperta di nuove terre e nuovi orizzonti.
Anna Vivarelli, scrittrice premiatissima, racconta qui da par suo le storie di dieci naufragi noti e meno noti, con protagonisti navigatori, aviatori, soldati e marinai semplici. Dieci storie in cui il fallimento e il disastro seguito al naufragio, alla perdita della nave, si trasforma in imprese eroiche ed epiche di resistenza, caparbietà, cocciutaggine. Dieci storie in cui non ci si perde d’animo anche se si è perso tutto e in cui, avventurosamente, con ardimento e intelligenza, si ritrova la strada per tornare in porti sicuri.
Inizia la raccolta con la spedizione Endurance del 1914, guidata dall'esploratore irlandese Ernest Shackleton. L'impresa consisteva nell'attraversare a piedi il continente Antartico, ma fallì ancor prima di cominciare, con l'Endurance incastrata tra i ghiacci. Per mesi e mesi la nave fu trasportata dai pack, fino a quando il legno cedette, si frantumò e sprofondò nel mare di Weddell.
Questo costrinse Shackleton e il suo equipaggio a una dura lotta alla sopravvivenza in uno dei luoghi più inospitali della Terra, dove le temperature oscillano tra i - 22° e - 45°. Con tre scialuppe recuperate dal naufragio dell'Endurance, riuscirono a mettersi tutti in salvo, raggiungendo le Isole Elephant. Da qui Shackleton ripartì con una scialuppa, la James Caird, e una minima parte dell'equipaggio, deciso a raggiungere la Georgia del Sud a più di milletrecento chilometri di distanza. Sapeva che sull'isola avrebbe trovato una stazione baleniera che avrebbe potuto salvarli.
Fu così che, con una traversata apocalittica, raggiunse l'isola e la stazione baleniera e, dopo svariati tentativi dovuti alle avverse condizioni metereologiche, anche tutti gli altri membri dell'equipaggio riuscirono a sopravvivere.
Le vicende narrate in questo libro, come quella di Shackleton o anche quella della baleniera statunitense Essex, il cui naufragio fu oggetto di crudeltà e cannibalismo, hanno ispirato capolavori della letteratura. Il caso della Essex pare sia stato d’ispirazione, almeno in parte, per Herman Melville e il suo Moby Dick.
Ma quando si scrive di Naufraghi e naufragi non lo si fa soltanto per narrare di marinai, comandanti o pirati ma bensì anche di aviatori.
Nella raccolta infatti, ritroviamo anche l'impresa di un giovane e poi famosissimo Antoine De Saint-Euxpéry, con il suo naufragio nello sconfinato mare del Sahara. Un’esperienza devastante che segnerà il suo modo di essere e di scrivere. L'incidente aereo che coinvolse lui e il suo amico pilota Andre Prevot, li costrinse a patire fame e sete e, quando tutto sembrava perso, dopo tre giorni, furono fortunatamente ritrovati e salvati dai beduini del posto. Anche questa drammatica esperienza sarà per Antoine de Saint-Euxpéry frutto di riflessioni e riferimenti trascritti nel famosissimo Piccolo Principe e nel primo capitolo del romanzo Terra degli uomini.
Il viaggio, nell'immaginario collettivo, è sinonimo di scoperta, arricchimento, conoscenza.
Fin dai tempi antichi si viaggiava alla scoperta dell'ignoto, spingendosi a volte verso imprese estreme, oltre i limiti del pensabile. Altre volte si affrontavano viaggi fatti di conquiste che lasciavano dietro scie di sangue, distruzione e razzie. In altre circostanze ancora, si viaggia spinti dal desiderio conoscere nuovi popoli e culture.
Ci sono tanti tipi di viaggio, e soprattutto tanti motivi che ci spingono a farlo. E grazie alla penna di Anna Vivarelli, accompagnati dalle bellissime illustrazioni di Amedeo Macaluso, possiamo riviverne alcuni dei più importanti che hanno coinvolto uomini dalle capacità straordinarie che, pur attraversando situazioni estreme, hanno avuto la forza di ripartire per ritrovare la strada della salvezza e, quindi, di casa.
Due domande ad Anna Vivarelli
Perché la scelta di parlare di naufragi? Come li ha scelti e selezionati?
L’idea del libro è nata durante i mesi del lockdown, quando, come tutti, sono stata catapultata in una vita che era la mia ma al tempo stesso non lo era più. Una specie di naufragio, insomma, perché lo spazio fisico si era improvvisamente ridotto alla mia casa, così come per il naufrago si riduce a una zattera, a un’isola deserta, a una duna di sabbia. E da lì, ho cominciato il lavoro di ricerca.
Molte di queste storie le conoscevo già, ma le ho approfondite. E molte altre le ho scoperte. Erano tante, e così ne ho selezionate dieci, in base soprattutto al criterio dell’umano: scegliendo cioè i protagonisti più affascinanti, più intriganti, ciò che li accomuna e ciò che li rende diversi. A questi grandi naufraghi ho poi aggiunto i naufragi romani della prima Guerra Punica, per le proporzioni straordinarie dell’evento, e quello del vascello Vasa, per l’aspetto paradossale e amaro della storia.
È un libro per conoscere la storia o un libro di avventure?
Sicuramente un libro di avventure, almeno nelle mie intenzioni. Nella narrazione, ho provato a immedesimarmi nell’angoscia dei naufraghi, ho raccontato con rispetto e ammirazione la tenacia, la forza di volontà, la capacità di non arrendersi, anche quando, come nel caso del naufrago Onoda, diventa cieca ostinazione. E ho anche cercato di imprimere alla narrazione il ritmo del racconto d’avventura, la descrizione essenziale del contesto e dell’ambiente. C’è dunque molta avventura, perché il libro è anche un lunghissimo viaggio, letteralmente dal polo Nord al polo Sud, passando per il deserto, la giungla, il ghiaccio e naturalmente la furia del mare. Naturalmente, chi leggerà Naufraghi e naufragi assorbirà inevitabilmente anche un po’ di Storia, perché quello dei naufraghi è anche un viaggio nel tempo.
Una domanda a Amedeo Macaluso
Si sente nelle illustrazioni la passione per il mare: è vera?
Sì, la mia passione per il mare è vera. Mi è sempre piaciuto fin da quando ero piccolo, sia d’inverno che d’estate e mi fa molto piacere che questo si percepisca nelle illustrazioni. L’odore di salsedine, l’orizzonte a perdita d’occhio e le onde con la loro continua voglia di andare e tornare mi danno da sempre una grande emozione: mi trasmettono quel senso romantico del sublime da “Sturm und Drang”.
Il mare è un posto tanto bello quanto pericoloso, forse è questo che affascina. Se penso ai navigatori del passato, li immagino come persone molto coraggiose e dannatamente incoscienti.
Oltre al mare e ai naufraghi, protagonisti di questo libro sono i mezzi di trasporto. Mi hanno sempre affascinato aerei e barche di tutti i tipi, sono invenzioni magiche per certi aspetti. Mi piace scoprire come sono fatti e per studiarli da tutte le angolazioni spesso costruisco piccoli modellini rudimentali.
Essendo di Torino il mare ho sempre dovuto cercarlo e rincorrerlo in altre città: la lavorazione di questo libro è stato un bel modo di ritrovarlo
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