Arrivi e partenze

Autobiografia semiumana di una faina e del suo creatore Bernardo Zannoni

Il mio rapporto con la letteratura è puramente istintuale

Bernardo Zannoni

Con I miei stupidi intenti, Bernardo Zannoni si è aggiudicato il Premio Campiello: una vittoria significativa, non solo perché è stata assegnata a un esordiente, ma anche perché marca un passaggio generazionale nel panorama letterario italiano.
Il libro è l’autobiografia di una faina, e già da qui si potrebbe intuire l’originalità del libro che abbiamo fra le mani, ma la sua forza risiede anche – e soprattutto – in altro. La voce di Zannoni riesce, in meno di 250 pagine, a creare un’atmosfera selvaggia e animale, in cui la sospensione dell’incredulità per una faina che si forma una coscienza non viene mai meno.
Siamo dentro la storia dall’inizio alla fine, le parole ci inchiodano alle pagine e ci risucchiano nel mondo di Archy, senza mollare un colpo
(trovate la recensione di Giulia Mozzato per Maremosso qui).
Ma l’aspetto più curioso della genesi di questo romanzo è forse il fatto che, come ci dice Zannoni, è stato scritto perché «mi andava di farlo. Per me è stato un divertimento scrivere, non ho mai pensato di essere, o di voler diventare, uno scrittore».

Bernardo Zannoni non si aspettava la vittoria al Premio Campiello, anche se un suo insegnante della scuola di scrittura le cui lezioni Zannoni aveva frequentato saltuariamente, Marco Missiroli, ci ha confermato quanto il cristallino talento di Bernardo fosse evidentissimo sin dal principio. Ma Zannoni non si aspettava certo che qualcuno leggesse o apprezzasse il suo libro: la vera coscienza, al di là della storia di Archy, che si allenava mentre lui scriveva, era proprio la sua. Ciò che è accaduto una volta che I miei stupidi intenti è finito nelle mani degli altri è stata una sorpresa, piacevole a detta sua, per il successo, ovviamente, ma anche per qualcosa di più profondo e personale: le parole, ancora oggi, ci possono ferire o salvare, hanno, insomma, potere. Le storie che raccontano gli scrittori – ci perdonerà l’autore se continuiamo a utilizzare quest’etichetta per comodità – sono ancora indispensabili. È la ragione intima per cui si continuano a scrivere e a pubblicare libri: perché crediamo nella loro missione e nel loro potere di cambiare le cose.

Salvo poi constatare la grande maturità di Zannoni sul tema, perché la scrittura sarà pure tutto questo, ma soprattutto altro, soprattutto divertimento, istinto e passione. Un modo di vedere la letteratura con una leggerezza nuova, più umana, e che sembra voler spodestare gli scrittori dalla loro torre d’avorio per interrogarli sui motivi per cui si scrive. Un libro nasce, per Zannoni, da un bisogno, e come tale può diventare o una pratica insalubre, oppure l’occasione per renderlo una passione. I miei stupidi intenti percorre questa seconda via. Tra le sue pagine ci sono le parole di chi ha scritto qualcosa perché voleva farlo, non per responsabilità né con un obiettivo diverso dalla scrittura per sé stessa, un magico mondo fatto di animali parlanti e di storie. Molto simile al nostro, tutto sommato.

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La canzone di Maremosso è interpretata da Laura Salvi
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