Pelo e contropelo

10 anni di Sdraiati: cosa è cambiato secondo Michele Serra?

Servono dieci anni, per decretare il successo di un libro?
Di solito, ne bastano anche meno. Se però dopo dieci anni torniamo a parlare di quel libro, significa che c’è qualcos’altro, oltre ai numeri da bestseller. Vuol dire che non solo il libro ha colpito, ma anche che è restato nel tempo, a fornire risposte – magari senza esserne neppure troppo consapevole - a domande che pur rimanendo le stesse, cambiano.

C’erano tutte le premesse per capire che il romanzo di Michele Serra (romanzo: prendere nota!) sarebbe stato quel tipo di libro: il rapporto padre-figlio, l’ironia e l’incazzatura, la misura breve e l’aforisma tagliente. Ne Gli sdraiati c’è quello che tutti noi diventiamo crescendo, soggetti buffi e grotteschi, ognuno a suo modo, diversamente consapevoli delle macchie che incrinano la perfezione, dei convenevoli a cui sottostiamo ogni giorno.

Non c’è niente da fare. È una cosa che viene col tempo.
Un attimo prima sei adolescente, l’attimo dopo sei un genitore che ragiona secondo altre categorie, più maturo, probabilmente, ma anche rallentato dal peso delle responsabilità che la vita adulta carica sulle tue spalle; in questa equazione, un figlio in casa può rappresentare la “X” delle aspettative che tu nutrivi verso te stesso, le paure personali e quelle – spesso più fondate – relative al farcela in un mondo sin troppo competitivo.

La trama degli Sdraiati sta all’incrocio fra quelle ascisse e coordinate; oggi rileggiamo il romanzo pubblicato da Feltrinelli, nella collana Le stelle, in una nuova edizione  arricchita da illustrazioni inedite di GiPi in copertina e una postfazione firmata dallo stesso Serra, che ci tiene a togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
Sì, perché se inizialmente l’opera, nella mente del suo autore, non sarebbe dovuta essere altro che la cronaca di un «inseguimento vano del padre nei confronti del figlio», autobiografica nella misura in cui a modo suo ogni libro lo è, non è così che al tempo fu recepito dalla maggioranza di giornalisti, critici e commentatori, che vollero in qualche modo imporre al libro le proprie sovra-letture politiche o ideologiche – i padri sessantottini, la scarsa disciplina impartita dai genitori di sinistra
Nonostante tutto, Gli sdraiati ha trovato la sua strada, per il sollievo di Michele Serra, il quale si dice grato a quei lettori che continuano a ritrovare tracce di sé nella figura del padre, Giorgio Selva, o in quella del figlio, Tito.

Uno dei (tanti) problemi del rapporto fra padre e figlio è generato dalla rintracciabilità perenne, questione fattasi ancor più spinosa nei dieci anni trascorsi dalla prima pubblicazione. Per un padre ansioso come Giorgio, il telefono diventa il simbolo intollerabile di un contatto possibile ma negato, e negato da colui che - dall’altra parte - lascia squillare a vuoto.

La narrazione è comica e tragica, si ride e si riflette sul crescere e sul tempo che passa.
E il titolo può suonare fuorviante, perché il punto di vista non è in fondo quello degli “sdraiati”, gli adolescenti in posizione perennemente orizzontale che non ascoltano e non interloquiscono, pigri e insolenti. Piuttosto è il punto di vista intimo di un padre che mette nero su bianco il suo fallimento, artefice masochistico dei propri stati d’animo. E allora vien fatto di pensare che forse, crescendo, non impariamo granché su noi stessi. Il padre degli Sdraiati, però, si salverà, perché le sue preoccupazioni e le sue ansie sono il frutto di un amore e un affetto sinceri e sinceramente ricambiati dal figlio. Come per il giardiniere paziente del vaso di portulache sul balconcino della casa al mare, anche la fioritura di un rapporto fra padre e figlio, può essere solo una questione di tempo.

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