Romanzo senza umani è un titolo che cela un enigma e una sfida.
Già, il titolo del nuovo romanzo di Paolo Di Paolo sfida il lettore a superare la propria iniziale perplessità, e lo fa per due ottimi motivi.
Primo: il romanzo - ogni romanzo - poggia su una forma intrinsecamente legata all'umano.
Perché nasce da un essere umano che decide di prendere in mano una penna e scrivere, certo: ma anche perché il romanzo è il frutto maturo di un mondo e di una cultura nei quali le storie procedono e si rendono comprensibili attraverso canoni codificati umanisticamente.
Secondo: il romanzo scaturisce dal più umano dei bisogni, quello che ci spinge a voler lasciare una traccia del nostro passaggio sulla terra.
Un’impronta, un segno purchessia per dire alle future generazioni che un giorno anche noi siamo stati e - attraverso la scrittura - ne abbiamo reso testimonianza.
Pubblicato da Feltrinelli, Romanzo senza umani è l’ultimo lavoro di Paolo Di Paolo.
Abbiamo voluto incontrare lo scrittore per poter parlare con lui dei temi che informano un libro importante (qui trovate la nostra recensione).
Il protagonista della storia è Mauro Barbi, di professione studioso di storia e in particolare di un segmento della storia del Cinquecento conosciuto come la piccola glaciazione.
Barbi ha passato la vita sui libri e adesso è come se uno sconvolgimento climatico - umano, prima ancora che meteorologico - stesse bussando alla sua porta.
Un giorno, lo studioso si sveglia dal proprio torpore con una terribile domanda che gli frulla in testa: che fine hanno fatto le persone che circondavano la mia vita, e soprattutto, che ricordo avranno, di me?
Una ex fidanzata, un amico, quella ragazza belga conosciuta a Madrid… riusciranno a confermare l’idea che Mauro Barbi coltiva di sé stesso? Coi loro nomi appuntati su un foglio, lo studioso si mette alla ricerca di testimonianze, intraprendendo un viaggio che lo porterà a mettere in luce l'intima relazione esistente fra il nucleo profondo di ogni storia individuale - di ogni vicenda umana, per l'appunto - con le conseguenze che la storia complessiva del genere umano in quanto tale produce.
Tendiamo a impostare il racconto della memoria per assecondare le nostre esigenze, ma se fermassimo qualcuno che ha fatto parte della nostra vita e gli chiedessimo: che cosa ti ricordi di me? La risposta potrebbe essere spiazzante perché il dettaglio impresso potrebbe essere quello meno prevedibile.
Forse quel periodo storico che è al centro degli studi dello stesso Barbi, la piccola glaciazione del 1573 (nel corso della quale il Lago di Costanza gelò) può aiutare a mettere in luce il “raffreddamento” più intimo dello studioso, una dimensione più intima ed esistenziale, per lui: se il mondo è sopravvissuto a quella era glaciale, in fondo, Mauro Barbi può e deve provare a uscire dalla sua…
La domanda evocata dal parallelismo fra i due piani della narrazione riguarda in potenza ciascuno di noi.
Paolo Di Paolo ci fa riflettere sulle nostre emergenze, sul modo in cui il clima non sia mai soltanto una cornice o uno sfondo davanti al quale si svolgono i fatti e gli eventi della storia, quanto piuttosto un paradigma entro il quale si producono quegli stessi fatti e avvenimenti, capace di influenzarne l'esito e amplificarne le risonanze profonde.
I climi della nostra vita disegnano una radiografia della nostra esistenza in cui le tempeste, gli acquazzoni, gli inverni lugubri o le estati torride possono essere ricondotti alle palpitazioni sentimentali. Allora siamo stati vivi perché abbiamo vissuto nella nostra vita l’estremismo climatico, che poi rimpiangiamo nel tempo di quiete e di bonaccia, ma se la vita fosse una lunga giornata di primavera sarebbe anche noiosa.
Mettendosi in cammino sulle orme di un saggio fondamentale, la Storia culturale del clima di Wolfgang Behringer, con Romanzo senza umani Paolo Di Paolo evidenzia narrativamente la ciclicità degli estremismi climatici, che fanno parte della nostra vita e della storia del mondo, impattando a fondo su entrambe e mettendole in indissolubile relazione.
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