Il libro di cui hai bisogno si trova accanto a quello che cerchi
Quante volte per infonderci coraggio ci diciamo che l’impegno alla fin fine paga e che lavorando con perseveranza presto o tardi raggiungeremo i nostri obiettivi.
Quando lessi La scuola sui binari di Angeles Donate e la vita dei cinque protagonisti e di come la loro caparbietà li avesse portati a realizzare le loro aspirazioni solamente con la loro forza di volontà, mi resi conto che le affermazioni sopracitate non sono solo un mantra.
Siamo nel Messico negli anni Trenta, appena dopo la rivoluzione di Villa e Zapata e per la prima volta nel paese s’impone un governo progressista che avvia un’ampia riforma sociale del lavoro comprendente il progetto delle scuole mobili.
Alcuni vagoni dei treni che trasportano gli operai delle ferrovie e i contadini negli angoli più remoti del paese sono organizzati in aule scolastiche, assieme ad altri adibiti invece a case, con lo scopo di assicurare il diritto all’istruzione ai figli di tutti i lavoratori. Un’idea illuminante per l’epoca, raccontata attraverso le vicende dei quattro inseparabili scolari Valeria, Ikal, Chico e Tuerto e del loro sapiente insegnante Don Ernesto, che come strumenti didattici si serve di piante e animali che vivono attorno a loro. Ognuno coltiva dentro se stesso dei sogni da realizzare e di riscatto che sono bruscamente interrotti da fatti e persone più grandi di loro. Tutti, però, sapranno trasformare il loro dolore in forza per maturare e andare avanti. Perché pure le persone più umili sono una promessa, quando credono in loro stessi, spinte dalla propria forza interiore.
“Come le farfalle monarca!” citando Don Ernesto.
Le farfalle che ogni anno partono dal Canada fino al Messico, dove svernano, per poi ripartire verso Nord. Il fatto ancora più straordinario è che anche le loro nipoti e pronipoti compiranno il medesimo viaggio, senza che nessuno glielo abbia insegnato!
“Spinte dalla loro forza interiore impressa nell’anima”.
Ogni cosa ha la sua bellezza ma non tutti la vedono
La similitudine entomologica di Don Ernesto mi ha rimandato al libro La storia delle api di Maja Lunde. Un romanzo distopico, ma terribilmente attuale.
In un futuro poco distante dal nostro, le api sembrano essersi estinte per vari motivi concatenati all’azione dell’uomo.
Tutto il comparto dell’agricoltura deve correre ai ripari, visto che quasi il 90% delle piante terrestri viene impollinato dagli insetti e in particolar modo dalle api.
L’uomo deve sostituire l’ape impollinando manualmente ogni albero da frutto portando le persone a lavorare a ritmi estremi. Gli umani diventano eserciti di automi che non hanno la libertà di concedersi nessun’altra cosa. Mantenere i tempi di lavoro delle api si rivelerà un’impresa titanica, con ricadute su l’intera società.
Il possibile ritorno ad un fragile equilibrio ecologico avverrà per tutti gli esseri viventi, ma non per merito degli umani che, anzi, pagheranno un prezzo altissimo per avere tale opportunità.
Le api, abituate a risolvere sempre nuovi problemi e a percorrere anche dieci chilometri al giorno per procacciarsi del cibo da condividere con l’alveare, assicurando così la prosperità della colonia, dimostreranno ancora una volta la loro caparbietà grazie alla quale godiamo di preziosi benefici da centinaia di migliaia di anni.
Non una colonia di api, ma di libri, fu quella che Marianna Ciccone difese durante il secondo conflitto mondiale. La perseveranza della Ciccone mi ha ricordato quella dell’ape regina. Nel suo ultimo libro, La tigre di Noto, Simona Lo Iacono racconta come Marianna partì da un minuscolo paesino siculo alla fine dell’800 per studiare e laurearsi, prima in matematica e poi in fisica, alla Normale di Pisa. Fu in assoluto una delle prime donne a ottenere la laurea presso la prestigiosa facoltà toscana e a poter insegnare.
Non ottenne mai, però, la cattedra dell’insegnamento perché di sesso femminile ed emarginata dalla comunità scientifica. Era infatti una delle pochissime scienziate a condividere le nuove teorie sulla relatività di Einstein, considerato allora un folle.
Nonostante la sua condizione di genere la ostacolasse, lei seguì imperterrita le sue passioni specializzandosi nella spettrometria, confermando alcune tesi di Einstein, lavorando a fianco del futuro premio Nobel per la Chimica Gerhard Herzberg, che aiutò a fuggire dalla Germania nazista in quanto ebreo. Nel 1944, sotto i bombardamenti e con una bimba salvata dalle macerie, rimase l’unica persona all’interno della Normale a difendere dalla razzia tedesca gli strumenti di ottica e i libri dell’archivio ebraico. Quando si scagliò contro i soldati questi dovettero scegliere se ucciderla o rinunciare al saccheggio dell’università. Da quel momento Marianna Ciccone divenne “la tigre di Noto”, che come un felino difende la sua prole.
Lo stesso coraggio che ebbe un’altra donna moltissimo tempo prima e che sacrificò la sua stessa vita per difendere la cultura e la scienza.
In Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del quarto secolo di Adriano Petta si ripercorre la vita della caparbia insegnante della scuola Alessandrina e difenditrice della storica biblioteca di Alessandria d’Egitto, da sette secoli il faro del sapere dov’erano custoditi oltre 700.000 libri da tutto il mondo e di ogni ambito scientifico. Un luogo dove studiarono Archimede, Tolomeo, Euclide… e la prima biblioteca il cui accesso era consentito anche al popolo.
La matematica e astronoma Ipazia lottò per insegnare il libero pensiero e la capacità critica dell’individuo, per affermare la ragione contro ogni dogma religioso.
Si batté per insegnare la matematica alla povera gente e costruì nuovi strumenti di calcolo e osservazione del cosmo. A lei si deve l’invenzione dell’astrolabio e del planisfero. Ipazia non si fermò neanche quando si sancì “il patto” tra la chiesa cattolica e l’Impero romano che portò fin da subito alla distruzione delle biblioteche di altre città e il pericolo di essere accusata di stregoneria si faceva sempre più reale, fino a giungere al tragico epilogo.
Altri scienziati dopo di lei invitavano gli studenti a guardare in alto, a guardare le stelle anziché i propri piedi. Come non pensare a Stephen William Hawking? Scienziato controcorrente, anche lui trascorse una vita all’insegna della caparbietà in funzione delle proprie convinzioni e sete di conoscenza, nonostante soffrisse fin da bambino di una grave forma di sclerosi degenerativa.
Affascinato fin da giovane dall’universo, nel suo più celebre saggio Dal big bang ai buchi neri Hawking affronta, con un linguaggio comprensibile anche ai profani della sua materia, gli eventi che avrebbero portato al Big Bang e alla nascita dell’universo, alla comprensione e all’origine del tempo come quarta dimensione dello spazio, all’espansione delle galassie e del cosmo e ad altri “segreti” dell’astrofisica.
Si mette in discussione, seppur non apertamente, l’esistenza stessa di un Dio in contrapposizione all’evoluzione delle leggi della fisica, sfidando apertamente teologi e lo stesso potere ideologico della chiesa.
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