Quanto deve essere difficile raccontare il più disumano dei gesti? Come trovare le parole giuste, quelle che meglio possono esprimere il terrore, la disperazione, la paura provata da chi è “l’unico sopravvissuto”?
“Essere gli ultimi, sopravvivere al male, è un peso insopportabile, è il segno di una colpa”.
Questa è la storia di Raul raccontata da Claudio Fava nel suo romanzo Mar del Plata (Add Editore): una testimonianza, una verità emersa solo dopo molti anni, nascosta tra le disumane atrocità commesse in Argentina durante la guerra sporca. La storia di Raul è la storia del capitano della squadra di rugby di Mar del Plata brutalmente massacrata perché con i loro dieci minuti di silenzio prima di ogni partita e con il calzino nero al braccio si opponevano silenziosamente al regime di Videla e dei suoi generali. Quel silenzio in uno stadio gremito di spettatori gridava giustizia, un gesto di ribellione inaccettabile per i gerarchi, un gesto che andava soppresso con la morte, il più disumano dei gesti. Ma quel silenzio continuerà a gridare giustizia nelle parole di Raul.