Italiani, figli del tubo catodico! è in questo modo che Paolo Bonolis, uno dei quattro, cinque volti televisivi più importanti di questa era, comincia ogni trasmissione. Un saluto al gentile pubbilco a casa, per utilizzare un’espressione di quelle canoniche, come i consigli per gli acquisti, non cambiate canale, il bello della diretta e tutto ciò che ha portato la televisione diretta nella nostra lingua, nella vita di tutti i giorni. Il medium è il messaggio, diceva qualcuno.
Gli italiani sono cambiati grazie alla televisione, ma contemporaneamente la televisione è cambiata con gli italiani. Questo viaggio nel tempo ripercorre la storia della televisione dai suoi albori.
Il 3 gennaio di 70 anni fa si accende la tv sulle nostre vite: dagli studi Rai di Torino cominciano le prime trasmissioni. Per capirci: nel 1954 gli abbonati sono solo 24000. Il Festival di Sanremo, quella che consideriamo la massima manifestazione televisiva dei nostri giorni, è nato tre anni prima, nel 1951: Nilla Pizzi si è esibita con la sua Grazie dei fior per un pubblico esclusivamente radiofonico.
Possiamo solo immaginare, oggi, la preistoria della televisione: la funzione didattica con gli insegnamenti del maestro Manzi, i film al cinema che si interrompevano per la proiezione di Lascia o raddoppia, i salotti dei pochi fortunati che possiedono una televisione invasi dal vicinato, il bianco e nero. Possiamo immaginarlo o godercelo nelle serate estive davanti a Techetechetè, il grande archivio che ci accompagna da giugno ad agosto, e che ci sta dicendo forse qualcosa, sul cambiamento di noi e di ciò che è la televisione per noi.
Questo libro ricostruisce, non avendo la pretesa di affrontare l'aspetto tecnico e specialistico della materia, quando e come si è realizzata in Italia la Televisione negli anni seguenti l'ultima guerra mondiale: fatti, date e uomini.
Se la televisione diventa reperto, pezzo da museo, è forse perché i figli del tubo catodico sono invecchiati, hanno passato la staffetta ai nipoti, che si esprimono su altri mezzi che hanno ritmi, intenti, modalità di fruizione molto diversi. Se ancora oggi ceniamo in compagnia del Tiggì, spesso il mezzobusto che ci fa da commensale viene totalmente ignorato da famiglie immerse a scrollare sul telefonino.
L’impressione è che la realtà, che per decenni è passata sul piccolo schermo (l’ha detto la televisione!), sia ormai convogliata su altri lidi, più a portata di mano, apparentemente su misura. La piccola rivoluzione del Digitale Terrestre a distanza di quindici anni ci ha portato un gruppuscolo di canali di basso rango, con poche eccellenze degne di nota, che hanno spostato ancora di più la centralità del discorso televisivo, quando la guerra degli ascolti era tra la classicità della Rai e le provocazioni di Mediaset.
In quale misura la radio, negli anni fra le due guerre, e la televisione, in quelli del boom economico, hanno contribuito allo sviluppo italiano? I nuovi mezzi di comunicazione sono stati al centro della crescita culturale dell'Italia contemporanea o hanno accentuato l'andamento squilibrato della sua modernizzazione?
Quindi, fine delle trasmissioni? Certo, la televisione non è più il centro della comunicazione, il Medium per antonomasia. Ma il modo in cui trasmissioni diversissime tra loro come Temptation Island, Una pezza di Lundini, Pechino Express, 4 ristoranti e tante altre esplodono nel nostro immaginario per diventare meme, modi di dire, contenuti remixati e resi virali dai social ci fa capire come la televisione ha ancora il potere di unire ciò che è stato diviso dagli algoritmi e dalle bolle, di farsi evento e di riuscire, in alcuni casi, a tenerci ancorati allo schermo, noi nipoti del tubo catodico, con lo smartphone in una mano e il telecomando nell’altra, a fare zapping tra una diretta televisiva e una su Instagram.
In questa settimana la Rai celebrerà il suo 70esimo compleanno con programmi televisivi e serie tv, come La luce nella masseria: cliccate qui per un approfondimento sulla trama della serie in uscita venerdì 5 gennaio.
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